Contrattazione

Dal contratto degli statali un passo avanti ma alla Pa serve più coraggio riformatore

Titoli di studio marginali nelle progressioni e modelli organizzativi troppo rigidi rischiano di limitare lo sviluppo

di Marco Carlomagno

Con la firma all’ipotesi di contratto 2019/21 delle Funzioni Centrali si è conclusa, a triennio ormai scaduto, una trattativa durata oltre sei mesi. Che ha migliorato molto l’impianto iniziale, portando a un buon contratto.

È stata migliorata la tutela della salute dei malati gravi che potranno fare i controlli periodici senza essere costretti a usare le ferie, è stata riportata alla piena contrattazione integrativa la sicurezza sui luoghi di lavoro e sono state definite le fasce di connessione per lo smart working.

È stata istituita per la prima volta nel lavoro pubblico l’area delle «elevate professionalità», equiparabile all'area quadri del lavoro privato esistente dal 1985. Viene rivisto l’ordinamento professionale, vecchio di 25 anni, prevedendo la possibilità di carriera all’interno delle aree, e si sono fatti passi avanti per la perequazione dei trattamenti economici tra i Ministeri.

Un contratto tutto rose e fiori, dunque? No. Avremmo preferito un’azione riformatrice ancora più incisiva, e per questo occorre ancora tanto lavoro sia in sede di contratti integrativi sia a livello politico per migliorare le condizioni di lavoro e la funzionalità delle Pa.

Qualche esempio. Viene istituita la quarta area, ma in prima battuta resterà vuota con la conseguenza che all’inizio potranno entrarvi solo “precari” reclutati con i bandi Pnrr, mortificando i lavoratori in servizio. La mancata definitiva eliminazione dei tetti di spesa delle amministrazioni continuerà a rendere difficili le progressioni economiche e la valorizzazione delle competenze a causa della carenza di fondi sul salario accessorio. Il contratto recepisce le norme che assegnano almeno il 40% del punteggio per le nuove progressioni economiche alla valutazione dei dirigenti, considerando marginali il possesso di titoli di studio e competenze, con il rischio che i dirigenti valutino il personale in base alla fedeltà piuttosto che alle competenze. Il contratto ha ingessato, in parte, il ricorso allo smart working. Anche se dalla firma definitiva del contratto verranno meno le linee guida ministeriali (e con esse il principio di prevalenza del lavoro in presenza), restano ingiuste penalizzazioni economiche del personale in lavoro agile rispetto a quello in lavoro remoto o in presenza, che percepirà invece indennità, straordinari e buoni pasto. Insomma, il lavoro per ammodernare la macchina amministrativa e valorizzare il lavoro pubblico non è terminato al tavolo di primo livello, che è solo un passo del lungo cammino ancora da percorrere.

Le rigidità sui modelli organizzativi - che restano arcaici – e sull’uso di nuove modalità lavorative impediranno il pieno dispiegarsi delle potenzialità di una macchina amministrativa che possiede competenze inimmaginabili senza nemmeno esserne a conoscenza. Alla fine chi ci rimette sono cittadini e imprese. Per cui il contratto è buono per i lavoratori ma non altrettanto per il Paese, che meriterebbe una Pubblica amministrazione più efficace.

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