Contrattazione

Lo smart working diventa strutturale in nove aziende su 10

di Cristina Casadei

Nella nuova normalità del lavoro, la certezza sembra essere che non mancherà lo smart working. Secondo una survey che l’Associazione dei direttori del personale, Aidp, ha condotto tra oltre 850 imprese e capi hr, per l’88% questa modalità di lavoro diventerà strutturale e verrà utilizzata anche oltre il termine dello smart working semplificato. Proprio ieri, il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha annunciato la partenza dell’Osservatorio nazionale bilaterale sul lavoro agile, istituito presso il ministero del Lavoro, con la firma del decreto ministeriale. L’Osservatorio monitorerà i risultati raggiunti, anche per favorire lo scambio di informazioni, la diffusione e valorizzazione delle buone prassi e lo sviluppo della contrattazione collettiva, anche per possibili sviluppi e implementazioni normative.

Le imprese, intanto, hanno già piuttosto chiaro cosa accadrà dopo il termine delle norme che semplificano lo smart working, introdotte durante l’emergenza pandemica e prorogate a fine giugno. «La modalità di lavoro smart è ormai entrata nel nostro nuovo dna lavorativo e i dati della nostra indagine lo certificano in modo inequivocabile - ci spiega Matilde Marandola, presidente nazionale Aidp -. Il punto oggi non è più rispondere alla domanda sulla necessità o meno dello smart working ma capire, e in qualche modo prefigurare, un autentico modello di lavoro smart e definire un nuovo equilibrio tra le diverse modalità di lavoro».

Prevale il contratto individuale

La survey, curata dal Centro Ricerche diretto dal professor Umberto Frigelli, dice che il 37% delle aziende ha già definito una policy per il rientro al lavoro dopo la scadenza del 30 giugno, il 32% le sta definendo mentre il 30% è in attesa di capire se ci sarà un’evoluzione della normativa prima di prendere una decisione. Quanto alla scelta tra contrattazione individuale e collettiva, è la prima a prevalere. Solo il 19% delle aziende ha contratti collettivi di regolazione dello smart working, contro il 62% che ha dichiarato di non avere accordi collettivo. Il 19% è ancora in fase di trattativa con i sindacati.

In media 2 giorni a settimana

La nuova modalità di lavoro è ormai un pilastro della talent acquisition se è vero che il 58% delle aziende dice di avere difficoltà ad assumere o trattenere i dipendenti se non viene garantito lo smart working e oltre l’88% conferma che dopo il 30 giugno continuerà la possibilità di lavorare in smart working e da remoto. A dirsi contraria è solo l’11%. La prospettiva è quindi quella del lavoro ibrido tra modalità in presenza e da remoto. Con quali equilibri? Il 38% delle aziende dice che i dipendenti potranno lavorare da remoto almeno 2 giorni a settimana e il 14% almeno un giorno. Negli altri casi, con percentuali minori, si va da 3 a 5 giorni fino ad una presenza di un solo giorno al mese. «Non è solo una questione di modalità lavorativa o di norme, tuttavia, ma è anche, e forse soprattutto, un tema culturale - dice Marandola -. La ridefinizione dei tradizionali confini spazio-temporali dell’organizzazione del lavoro presuppone un adeguamento dei concetti tradizionali del lavoro, come ad esempio il tema dell’autonomia e della responsabilità dei lavoratori a fronte di un minor controllo».

Gli spazi

Le aziende stanno cambiando organizzazione, ma anche fisionomia fisica per adeguarsi alla modalità ibrida. Il 30% ha già ristrutturato gli spazi per organizzare il lavoro da remoto e la minor presenza fisica. Il 27% ci sta lavorando. Anche sul diritto alla disconnessione il 42% delle aziende ha dichiarato che sono state introdotte garanzie da questo punto di vista, il 36% ci sta ragionando. Inoltre, il 46% ha intenzione di adottare suggerimenti e buone prassi specifiche per una migliore gestione del lavoro da remoto come codici di condotta per i tempi e la partecipazione a videoriunioni, gestione della corrispondenza mail, e cosi via. La stragrande maggioranza, ossia il 75% degli intervistati, ha affermato che non ha intenzione di adottare applicativi per il controllo della prestazione lavorativa da remoto. «Ciò vuol dire - interpreta Marandola - che siamo pronti a cogliere le opportunità che la nuova sfida lavorativa ci pone». Sul south working, infine, dopo il 30 giugno, il 15% delle imprese consentirà ai dipendenti originari delle regioni del Mezzogiorno di continuare il lavoro in south working a fronte del 58% delle aziende che ha espresso un parere contrario. Il 28%, invece, ci sta ancora pensando.

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