Contrattazione

La stretta in cantiere mette a rischio il decollo dell’apprendistato

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

Passano gli anni, cambiano i governi e, con puntualità, arriva una “nuova ricetta” per rilanciare l’apprendistato che, da Marco Biagi in poi, tutti vorrebbero che rappresentasse il canale d’ingresso dei ragazzi nel mercato del lavoro. Salvo poi vedere sistematicamente contraddetto tale obiettivo da interventi legislativi che penalizzano, anzitutto, il “professionalizzante”, il contratto di apprendistato di secondo livello, con l’introduzione di generici incentivi “a pioggia” per le assunzioni dei giovani (a prescindere dal tipo di contratto utilizzato), e poi anche il “duale”, quello cioè legato ai percorsi scolastici, primo livello, e universitari, terzo livello, perché caricato di burocrazia e poco gestibile per le Pmi.

I numeri sono lì a dimostrarlo. Nel 2021, ultimo dato disponibile dell’osservatorio Precariato Inps, le nuove assunzioni in apprendistato sono state 314.628. In calo rispetto al periodo pre Covid: nel 2018, ultimo dato disponibile contenuto nel monitoraggio sull’apprendistato curato da Inapp e Inps, gli apprendisti erano 366.466. Tra nuovi e vecchi rapporti ci sono meno di mezzo milione di apprendisti in Italia, tra il 95% e il 98% dei quali sono “professionalizzanti”, e appena circa 10mila di primo e di terzo livello (i contratti di apprendistato di primo livello sono intorno ai 10mila e concentrati essenzialmente a Bolzano e in Lombardia; quelli di terzo livello sono ancora meno, nemmeno un migliaio, e anche qui concentrati nelle regioni del Nord, in primis Piemonte e Lombardia).

Certo, il Covid ha pesato. Ma la conferma delle difficoltà di implementare effettivamente l’apprendistato si trova, ancora una volta, leggendo la proposta di legge 2902 sottoscritta da una fetta di maggioranza, ossia esponenti Pd (prima firmataria è la Dem, Chiara Gribaudo), M5S, Iv e Leu, all’esame della commissione Lavoro del Senato. Se approvata così come scritta, secondo l’opinione di molti esperti e di parti sociali, più che rilanciare l’apprendistato, la proposta rischia di affossarlo definitivamente.

Il perché è presto detto. La proposta (che è stata formulata dopo aver «sentito e approfondito soltanto le ragioni di lavoratori precari e tirocinanti», come scritto nella relazione illustrativa) prevede, di fatto, solo l’introduzione di nuovi vincoli. E così prevedere che, in caso di recesso anticipato dopo un anno di contratto, il datore dovrà restituire l’80% dello “sgravio contribuito” fruito significa, di fatto, scoraggiare le imprese ad assumere apprendisti, così come fissare ben al 40% la misura di tale restituzione in caso di recesso al termine del periodo formativo concordato. Così anche far salire le soglie di applicazione delle “clausole di stabilizzazione” (cioè la possibilità di assumere nuovi apprendisti solo a patto di confermarne una quota) dall’attuale 20 al 33%, ed estendere tale clausola anche alle imprese con almeno 15 dipendenti (finora la soglia dimensionale è fissata ad almeno 50 dipendenti) non può che scoraggiare i datori nell’assumere apprendisti.

E non aiuta neppure la previsione di introdurre una “piattaforma dell’apprendistato”, che rappresenta un appesantimento burocratico per le aziende, considerando che la gran parte delle finalità che si vorrebbero raggiungere (accreditamento degli enti formativi, verifiche sul completamento del piano formativo, certificazione delle competenze) sono già regolate o da leggi regionali o dai contratti collettivi.

Le parti sociali sono preoccupate. «Per noi l’apprendistato formativo deve rimanere uno strumento diretto ai giovani in istruzione e formazione - ha sottolineato il segretario confederale della Cisl, Angelo Colombini -. Non può essere utilizzato come una misura di politica attiva per il lavoro per adulti in transizione o disoccupati. Inoltre, inquadramento, gestione del rapporto, livello retributivo degli apprendisti debbono rimanere materia degli accordi interconfederali e dei contratti collettivi di settore. È sbagliato un intervento legislativo».

Più duro il commento delle imprese. «Attualmente l’apprendistato professionalizzante, interamente regolato dai contratti collettivi, non risulta avere particolari problemi attuativi, tant’è che rappresenta il 95% dei contratti di apprendistato sottoscritti - ha aggiunto Gianni Brugnoli, vice presidente di Confindustria per il Capitale umano -. Discorso a parte merita l’apprendistato duale, quello cioè di primo e di terzo livello, che consente di conseguire, al termine del contratto, un titolo di studio. Confindustria ha elaborato una serie di proposte tecniche per migliorarne l’utilizzo, proposte già presentate al decisore politico ma al momento inascoltate. Non si comprendono proprio, allora, le ragioni che sostengono una simile proposta di legge, che finirebbe soltanto per affossare l’interesse delle imprese per un contratto, quello di apprendistato, che, viceversa, per noi è fondamentale perché salda formazione e lavoro».

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