Contrattazione

Nei campi mancano all’appello 100mila lavoratori stagionali

di Micaela Cappellini

All’agricoltura italiana mancano almeno 100mila stagionali. Questo stando alle richieste pervenute per il Decreto flussi: perché tra lavoratori comunitari che hanno preferito la via dell’edilizia e manodopera italiana non disponibile, il fabbisogno nei campi all’apertura della stagione potrebbe essere addirittura superiore.

Rispetto all’anno scorso, le quote di lavoratori extracomunitari ammessi per decreto in Italia è stato alzato da 30 a 69mila; di questi, la fetta riservata all’agricoltura è di 42mila posti. A fronte dei quali sono pervenute 100mila domande: «Se tutto va bene e non ci sono intoppi burocratici, i primi arriveranno fra tre mesi, comunque in ritardo rispetto ai tempi della campagna», ricorda il responsabile Lavoro della Coldiretti, Romano Magrini.

Nei campi italiani vengono impiegati ogni anno 1,1 milioni di braccianti: gli stranieri sono 350mila e, tra di loro, rumeni e bulgari sono la quota maggioritaria, circa 130mila. La sanatoria per i lavoratori in nero, fortemente voluta due anni fa dall’allora ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova? «Purtroppo non è andata lontano - spiega dati alla mano Danilo De Lellis, responsabile delle relazioni sindacali e industriali della Cia-Agricoltori italiani - per l’agricoltura ci si aspettavano 200mila richieste, alla fine ne sono arrivate 30mila e ad oggi quelle effettivamente processate sono solo un 15-20% del totale». Uffici chiusi, personale pubblico in smart working, braccianti che dopo due anni non prestano più servizio per i datori che avevano avanzato le richieste: all’atto pratico, l’emersione dal nero ha funzionato poco.

Alle difficoltà di portare in Italia la manodopera extra-Ue si aggiunge il rischio di non essere attrattivi verso i lavoratori comunitari: «Stiamo assistendo - spiega De Lellis - alla fuga dal lavoro agricolo verso quello edilizio, grazie anche al rilancio del cantieri portato dal Superbonus 110%. Un po’ perché gli stipendi nell’edilizia sono più alti, un po’ perché i contratti vanno ben oltre la stagionalità e in media durano due anni, molti lavoratori oggi preferiscono questa via».

«Molti polacchi o rumeni stanno anche tornando nei loro Paesi d’origine, man mano che questi sviluppano condizioni economiche migliori», aggiunge Roberto Caponi, direttore dell’area politiche del lavoro di Confagricoltura. Ma uno degli scogli più grandi all’assunzione dei lavoratori italiani resta, anche in agricoltura, il reddito di cittadinanza: «Bisognerebbe renderlo pienamente cumulabile con il lavoro agricolo stagionale», dice Caponi. Durante il periodo emergenziale questa possibilità era prevista per un massimo di 60 giornate di lavoro e 2mila euro di retribuzione. Ora però non è più possibile. «In assenza di alternative - dice il responsabile di Confagricoltura - il rischio è che le aziende esternalizzino e si rivolgano a cooperative e imprese di servizi: di per sé è lecito, ma in questo segmento si insinuano soggetti che non sono in linea con le disposizioni normative». Soggetti che fanno caporalato, insomma, e spingono il lavoro in nero e lo sfruttamento della manodopera.

Come si risolve dunque l’emergenza? In primo luogo, dice il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, «occorre velocizzare il rilascio dei nulla osta necessari per consentire ai lavoratori extracomunitari, ammessi all’ingresso con il decreto flussi, di poter arrivare in Italia al più presto». Ma soprattutto, «occorre consentire anche ai percettori di ammortizzatori sociali, studenti e pensionati italiani di poter collaborare temporaneamente alle attività nei campi, con strumenti concordati con i sindacati». Un tempo il mondo dell’agricoltura parlava di voucher, ora si preferisce parlare di contratti di lavoro occasionale molto flessibili: strumenti agili, dice la Coldiretti, per consentire agli italiani, in un momento di crisi come questo, di integrare il proprio reddito.

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