Contrattazione

Assolombarda, nell’area di Milano smart working per un addetto su cinque

di Cristina Casadei

«Lo smart working negli ultimi due anni è un modello organizzativo che ha visto una forte accelerazione ed è oggi entrato a far parte della cultura aziendale diffusa», dice Diego Andreis, vicepresidente di Assolombarda con delega a Politiche del lavoro, Sicurezza e Welfare. Sul territorio che comprende Milano, Monza e Brianza nel primo trimestre di quest’anno oltre 8 realtà su 10 hanno almeno un dipendente in smart working, mentre i dipendenti coinvolti sono circa il 22% del totale, stando ai dati del Centro studi di Assolombarda. Distinguendo per settori nei servizi la percentuale sale al 91%, mentre nell’industria al 79%. Se ci soffermiamo su Milano, dove nelle scorse settimane l’assessora allo Sviluppo economico e Politiche del lavoro, Alessia Cappello, ha riunito le parti sociali per condividere il Patto per il lavoro che contiene anche una riflessione sul lavoro agile, allora le aziende coinvolte sono il 90%, rispetto al 78% rilevato nell’hinterland.

Se andiamo a fare un confronto tra il pre pandemia e oggi, emerge un’evoluzione molto veloce nel ricorso allo smart working. Se nel 2019 erano solo 3 imprese su 10 a prevederlo, con una percentuale di lavoratori intorno al 15%, oggi, come detto, questi numeri sono molto diversi. Al momento lo smart working d’emergenza è prorogato fino al 31 agosto, ma il 63% delle imprese che ha risposto al sondaggio prevede di attivare lo smart working in modo strutturale anche in futuro. Il terreno che porta a questo risultato è stato sapientemente preparato negli ultimi mesi, come sottolinea Andreis: «Nel 2021 Confindustria, insieme alle organizzazioni sindacali, ha sottoscritto il Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile, con lo scopo di fissare le linee di indirizzo per la contrattazione collettiva nazionale, aziendale e/o territoriale. Quando finirà il periodo di emergenza che ha condizionato il ricorso diffuso allo smart working, pertanto, non ci troveremo impreparati».

La fase pandemica ha segnato il fiorire di una serie di accordi sindacali e di policy che hanno contribuito ad adattare questa modalità di lavoro alle esigenze delle diverse organizzazioni. A questo proposito Andreis sottolinea che «l’autonomia contrattuale delle Parti sociali, dunque, continua a costituire un valido framework su cui poter incardinare il futuro del lavoro, che si giocherà su flessibilità, skill, formazione continua, forme contrattuali e tutele». Tra i risultati del nuovo modo di lavorare che si osservano oggi c’è il fatto che la compatibilità delle mansioni è quasi sempre la condizione di accesso prioritaria allo smart working (96%), seguita dall’adeguatezza della connessione (62% delle aziende). Meno rilevante è l’appartenenza ad aree aziendali predeterminate (42%). Infine la formazione: un’azienda su quattro vincola la possibilità di smart working alla frequenza di un corso di formazione mirato.

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