Buste paga, le grandi aziende rimandano gli aumenti al 2023
L’inflazione, lo shock energetico e l’aumento dei prezzi stanno mettendo in crisi il modello “lineare” della crescita della parte fissa delle retribuzioni, dovuta più alla contrattazione e agli aumenti cosiddetti inerziali, che non a quelli di merito e produttività, relegati pressoché esclusivamente alla parte variabile. In questo contesto la domanda è: ci sarà una revisione dei budget per gli aumenti retributivi? Per quest’anno sembrerebbe di no, se è vero che perfino l’orientamento delle grandi imprese sembrerebbe quello di non adottare azioni specifiche di ulteriore aumento retributivo. WTW (Willis Tower Watson) ha appena sondato 53 società che totalizzano oltre 230mila dipendenti, per capire che cosa hanno in mente di fare. Risultato: sono il 19% le aziende che hanno adottato o prevedono di adottare nel 2022 uno o più interventi straordinari negli ultimi trimestri dell’anno. Le altre, l’81% quindi, non hanno piani specifici. Tutto rimandato al 2023, anche perché l’approvazione di eventuali aumenti di budget nelle grandi società non avviene da un giorno all’altro ma chiede almeno un semestre.
I budget a confronto
Guardando le buste paga nel loro complesso, la multinazionale americana quotata al Nasdaq e specializzata nelle aree risorse umane, rischio e brokeraggio, osserva che «nel 2022 gli aumenti retributivi delle grandi imprese rimarranno fermi al 2,5%, in linea con gli ultimi tre anni. Per il 2023 è invece prevista una revisione del budget che salirà fino al 3,5%: le aziende più aggressive prevedono infatti il 3,4% per i dirigenti e 3,6% per gli impiegati», ci spiega Rodolfo Monni, senior consultant, responsabile indagini retributive di WTW.
Salari e inflazione
Andando a confrontare l’andamento degli aumenti retributivi e quello dell’inflazione emerge un disallineamento tra i due dati e una forchetta che, in questa fase, è svantaggiosa per i lavoratori. Ma in altri anni è stata decisamente vantaggiosa. In altre parole quando l’inflazione cala, i budget non vengono diminuiti, e la stessa cosa accade però oggi che l’inflazione è salita. Edoardo Cesarini, amministratore delegato di WTW, osserva che «veniamo da anni di crescita retributiva contenuta e lineare, a fronte di un tasso di inflazione basso, dove assistiamo a un aumento fisiologico delle retribuzioni dovuto principalmente a scatti di anzianità e aumenti contrattuali, mentre viene lasciato poco spazio al riconoscimento economico del merito. Ora però questo modello lineare è messo in crisi dalla crescita imprevista del tasso di inflazione e se questo continuerà a crescere, anche le retribuzioni subiranno profonde conseguenze». A proposito di aumenti contrattuali si stanno avviando le trattative di alcuni contratti dove i sindacati, in attesa di vedere l’Ipca, hanno già richiesto aumenti retributivi tarati verso l’alto: si va dal 6% complessivo della chimica farmaceutica dove per l’aumento complessivo si chiedono 180 euro, al 10% sui minimi degli assicurativi che chiedono 210 euro.
Il potere d’acquisto
Tenendo in considerazione l’incidenza del tasso di inflazione, nel 2021 la crescita retributiva reale è stata dell’1,4%, in diminuzione rispetto al 2,6% del 2020, ma comunque tra i più alti nell’Europa occidentale. Dal 2022 tutti devono fronteggiare una situazione che è diversa. Innanzitutto abbiamo visto l’inflazione raggiungere un livello che non ricordavamo più da molti anni. Se quest’anno si è aperto con il tema dello shock energetico e dei prezzi delle materie prime di cui dovremo ancora vedere gli effetti, da fine febbraio la situazione è radicalmente cambiata, con lo scoppio della guerra ucraina che ha fatto impennare i prezzi di gas e petrolio e peggiorato l’approvvigionamento delle materie prime. «Tutto questo ha ampliato il gap tra aumenti salariali e inflazione, che è arrivato a superare il 3%, riducendo così il potere d’acquisto dei consumatori e il potere reale delle retribuzioni», osserva Monni.
Le scelte
Di fronte a questa situazione circa 8 aziende su 10 restano ferme sugli incrementi retributivi messi a budget nel terzo quadrimestre del 2021, mentre c’è una fascia ristretta di aziende che per essere più competitive in un mercato del lavoro davvero molto difficile, hanno deciso di aumentare il budget degli incrementi retributivi nel 2022: il 25% delle aziende più competitive, quindi una su quattro, ha rivelato aumenti tra il 3,4% per i dirigenti e il 3,6% per gli impiegati. Anticipando quello che avverrà l’anno prossimo quando gli aumenti medi sono stimati in crescita di un punto percentuale, al 3,5%.
La via dell’una tantum
Dalle aziende arrivano segnali, in un numero molto limitato di casi, che vanno anche nella direzione dell’una tantum. A questo proposito, a Bergamo il gruppo Brembo che produce sistemi frenanti, ha scelto di riconoscere nella busta paga di maggio un contributo straordinario di mille euro lordi a ciascun collaboratore in Italia. Il valore complessivo stanziato dall’azienda è di circa 6 milioni di euro e la misura riguarda i 4mila lavoratori italiani. Allo stesso modo, il gruppo chimico-tessile e dei polimeri, Radicigroup, darà mille euro lordi come premio una tantum per fronteggiare l’aumento dei costi energetici e i rincari del costo della vita che si sono verificati soprattutto in Italia. A budget sono stati messi circa 2 milioni di euro, che dovrebbero coprire 1.500 lavoratori. Non solo dipendenti diretti ma anche in somministrazione.