Contrattazione

Da Bruxelles direttiva sui salari minimi Ue «adeguati e dignitosi»

di Antonio Pollio Salimbeni

La partita definitiva sulle regole per il salario minimo è stata giocata nella notte nella sede del Parlamento Europeo a Strasburgo: le delegazioni della presidenza francese della UE, degli eurodeputati e della Commissione si sono chiuse in una grande stanza ieri sera, stanza prenotata fino alle 5 del mattino. Un “tour de force” per raggiungere l'accordo politico su una direttiva, proprio in un periodo in cui in mezza Europa si è aperta una vera e propria “questione salariale”.

Ancora a tarda ora, il “clima” del negoziato era positivo, tanto che veniva confermata una conferenza stampa in mattinata. La direttiva riguarda i salari minimi: devono essere “adeguati”, garantire un livello di vita “dignitoso”. Quelli definiti per legge e quelli contrattuali. Senza mettere in discussione due cose. La prima cosa è la competenza degli Stati a decidere, se vogliono, il livello minimo per legge. Competenza peraltro garantita dal Trattato UE. La seconda cosa riguarda il ruolo della contrattazione collettiva, che si ritiene abbia «un ruolo fondamentale per una tutela garantita dal salario minimo adeguata», è scritto nel progetto di legge. Infatti, nei paesi in cui la copertura collettiva è elevata, ci sono meno lavoratori a basso salario, salari minimi più elevati rispetto al salario mediano, minori disuguaglianze salariali, remunerazioni più elevate. Tuttavia, ecco il punto, i salari minimi legali restano ancora troppo bassi: sono inferiori al 60% del salario lordo mediano e/o al 50% del salario lordo medio in quasi tutti gli stati Ue dove esistono. Cioè in 21 stati su 27. Gli Stati in cui non esistono sono Italia, Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia. E anche laddove la contrattazione collettiva è estesa e non c'è un minimo legale, resta il fatto che un certo numero di lavoratori non ha accesso a un minimo effettivo “dignitoso”.

Ci sono salari minimi legali inferiori a mille euro in 13 paesi (Est, Baltici, Grecia, Portogallo); fra mille e 1500 in due (Slovenia e Spagna); superiori a 1500 nel resto dei 21 stati con il minimo legale. In Italia, dove c'è un sistema consolidato di contrattazione collettiva, non c’è una legge che fissa un minimo legale (c’è un testo fermo al Senato), ma l’Inps dichiara che oltre 5 milioni di lavoratori dipendenti guadagnano meno di mille euro al mese; 4,5 milioni quelli che vengono pagati meno di 9 euro lordi all’ora. Il presidente Inps Tridico aveva indicato che in Italia oltre 2 milioni di lavoratori percepiscono 6 euro lordi all’ora.

La direttiva stabilisce i requisiti per garantire un reddito dignitoso attraverso un salario minimo legale o la contrattazione collettiva fra lavoratori e datori di lavoro. Non c’è alcun obbligo a scegliere una o l’altra strada, come non c’è alcun atto d’imperio (impossibile a Trattato vigente) sui livelli retributivi. Più un obiettivo strategico: portare la copertura della contrattazione collettiva al 70% o, secondo il Parlamento europeo all’80%. L’adeguatezza dei salari minimi legali dipende dalla situazione del paese e per valutarla si propone di riferirsi ai «valori indicativi» usati a livello internazionale: 60% del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio. Poi si prevede un monitoraggio costante della situazione.

Il negoziato ha messo in luce le profonde diversità nella struttura produttiva e nel sistema di relazioni industriali: inizialmente la direttiva venne contestata dai Paesi che temono un eccesso di intrusione degli stati e/o di perdere vantaggi dovuti a sistemi ben funzionanti (Nord Europa, Austria); l’Est temeva di perdere il vantaggio di salari relativamente bassi. Le posizioni cambiano a seconda del peso della media e della grande impresa. La cosa certa è che per la prima volta una direttiva entra direttamente in un campo finora lasciato libero agli Stati, pur con tutte le cautele giuridiche e politiche del caso. E ciò smuove interessi consolidati sia nel campo imprenditoriale sia nel campo sindacale.

A ieri erano rimaste aperte questioni che uno “sherpa” europeo indicava come ancora “indigeste”. Intanto la definizione di contrattazione collettiva: si parla solo di organizzazioni di lavoratori o specificatamente di sindacati? Tema controverso che chiama in causa la capacità effettiva di rappresentanza dei sindacati, ma anche il rischio di una dispersione delle rappresentanze che può portare a contrattazioni-pirata. Poi l’obiettivo (politico) di estensione della contrattazione collettiva al 70% o all’80% dei lavoratori: se si sta al di sotto gli Stati devono agire per raggiungerla con un piano di azione sotto monitoraggio UE. Il Parlamento vuole che i salari minimi legali siano aggiornati su base annua in modo trasparente, mentre il Consiglio parla di «aggiornamento periodico» senza impegni temporali. Infine, il via libera a variazioni e trattenute per legge che riducono la retribuzione portandola a un livello inferiore al minimo legale: il Parlamento si era opposto.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©