Contrattazione

Avvocati del lavoro in campo per la certificazione di parità

Dalle opportunità di carriera, ai salari, alla tutela della maternità: nuovo fronte di consulenza per aiutare le aziende a rispettare i criteri fissati dal decreto pubblicato il 1° luglio scorso

di Massimiliano Carbonaro

La certificazione di parità – diventata operativa con il decreto del 29 aprile 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 1° luglio – chiama in causa gli studi legali esperti in diritto del lavoro che vedono aprirsi un nuovo fronte di consulenza: soprattutto con le aziende e, in misura minore, con gli enti certificatori, che normalmente hanno già al loro interno avvocati esperti giuslavoristi.

A prevedere la certificazione di parità è stata la legge 162 del 2021, che l’ha introdotta nel Codice delle pari opportunità (decreto legislativo 198 del 2006) e che l’ha collegata anche a misure premiali per le imprese (si veda l’articolo a fianco). Il decreto del 29 aprile 2022 ha dato attuazione a queste norme e fissato i parametri in base ai quali le aziende potranno avere la certificazione, accogliendo le indicazioni della prassi Uni 125:2022. Si tratta di un fronte su cui l’Italia parte da una posizione arretrata, ma ora sembra aver deciso di essere veramente attiva, tanto che la certificazione è stata inserita nel Pnrr, all’interno della Missione 5, coesione e inclusione, politiche per il lavoro.

Intervenire sul gender gap vuol dire nelle imprese consentire alle donne le stesse opportunità di carriera e la parità salariale, l’uguaglianza nelle mansioni e la tutela della maternità e la gestione delle differenze di genere. Tutti temi che richiedono la consulenza di studi legali esperti nel settore; del resto, le linee guida Uni prevedono che nel gruppo di verifica per la procedura di certificazione sia presente un avvocato giuslavorista (o un altro professionista che dimostri esperienza nel settore).

Si tratta, secondo Tatiana Biagioni, presidente dell’Agi, l’Associazione giuslavoristi italiani, di un progetto molto ambizioso, che punta a creare un mondo del lavoro “normale”. «C’è stata la volontà di rendere scientifica la valutazione della certificazione – commenta – di legarla a dei Kpi (key performance indicator, ndr) specifici, con macro aree e la giusta distinzione tra piccole e grandi aziende. È un meccanismo complesso che richiederà l’apporto di noi giuslavoristi, perchè il lavoro è un tema centrale quando si parla di discriminazione».

Non stupisce quindi che uno studio legale come Toffoletto De Luca Tamajo, specializzato in diritto del lavoro e sindacale, abbia cominciato ben prima della piena operatività della certificazione a sensibilizzare professionisti e aziende su questo argomento, tanto da organizzare tra il 7 e l’11 marzo scorso una Gender Equality Week con webinar e appuntamenti formativi. Inoltre, lo studio ha istituito un team specializzato per aiutare le aziende nelle politiche di parità di trattamento: «Le aziende – spiega l’avvocato Aldo Bottini, partner di Toffoletto De Luca Tamajo – ci stanno interpellando per capire che cosa fare e per prepararsi alla certificazione».

Anche lo studio Wi Legal dà conferma dell’attenzione a questa novità. «Le aziende ci stanno manifestando tutto il loro interesse con le loro richieste – commenta l’avvocata Elisa Pavanello, socio di Wi Legal –. Al nostro interno abbiamo costituito un team di professionisti che accompagnerà le imprese in questa fase della certificazione e stiamo contattando alcune società di certificazione perché il lavoro sia sinergico». Per Wi Legal anche le aziende meno strutturate e di dimensioni contenute sono comunque interessate: «Credo che l’aspetto più delicato sia quello culturale – continua l’avvocata Pavanello –: ci sono ritrosie che sono sotto gli occhi di tutti e per modificarle ci vuole tempo».

Ma il sistema premiale pensato dovrebbe aiutare a incidere in profondità. «Credo che la certificazione di parità possa rappresentare – commenta l’avvocato Francesco Rotondi, founder dello studio LabLaw – una accelerazione per le piccole e medie imprese e addirittura per le micro. Finora c’è stata la resistenza delle aziende più piccole a investire in un know-how di questo tipo, ma ora la situazione potrebbe cambiare».

La certificazione potrebbe rappresentare un vero cambio di passo sul gender gap. «Porta con sé – aggiunge la presidente di Agi Biagioni – una maggiore attenzione a questi temi in generale. Spero che si continui sulla linea della premialità e della trasparenza, perché l’effettiva presenza di politiche di parità all’interno delle aziende potrebbe contribuire a cambiare prima di tutto culturalmente il nostro Paese».

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