Previdenza

La nuova tassazione sui rendimenti dei fondi complementari

di Giuseppe Argentino

L'art. 17, comma 1, del D.Lgs. 252/2005, aveva originariamente previsto che sui rendimenti maturati dagli investimenti attivati dai fondi pensione si applicasse “un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura dell'11%”.
Solo pochi mesi fa, l'art.4, comma 6-ter, della legge 89/2014, di conversione del D.L. 66/2014, aveva già elevato tale aliquota dall'11% all'11,5%, precisando tuttavia che tale incremento avrebbe avuto efficacia solo per l'anno 2014. La scadenza temporale contenuta nella norma faceva ipotizzare che dal 2105 tutto sarebbe tornato come prima, ma ora l'art.44 del disegno di legge “di stabilità 2015”, recentemente presentato dal Governo, innalza dall'11,5% al 20%, la misura dell'imposta.
Dopo il varo della citata Legge 89, si era calcolato che l'aumento nella misura dello 0,5%, tanto più perché limitato ad un solo anno, avrebbe inciso marginalmente sul montante accumulato nel corso dell'intera vita lavorativa.
Ma ora la nuova tassazione è destinata a incidere più pesantemente: in particolare si è calcolato che nel caso di accantonamento costante di 3000 euro all'anno, per 40 anni, nel corso dei quali si sia prodotto un rendimento medio del 3%, la nuova aliquota fiscale, paragonata a quella originariamente prevista dalla legge, ridurrà il montante finale di circa il 6%.
Tale riduzione appare in controtendenza rispetto alle manovre governative degli ultimi vent'anni, che avevano gradualmente introdotto nell'ordinamento previdenziale italiano, pur tra ripensamenti e ritardi, la “previdenza complementare”, per riequilibrare con una seconda pensione, la progressiva riduzione dei “tassi di sostituzione” delle pensioni a carico dei regimi di previdenza obbligatoria.
Era quindi stato varato il D.Lgs. 124/1993, in attuazione di una norma dettata dalla “Legge delega 421/1992” (Riforma Amato). In base a tale normativa i lavoratori dipendenti potevano scegliere di destinare il Tfr ai fondi complementari, ma poiché essa non si applicava alla totalità dei lavoratori dipendenti, la “Legge delega 243/2004” aveva successivamente conferito al Governo il compito di riordinare la normativa, estendendo, tra l'altro, a tutti i dipendenti la possibilità di destinare il Tfr a un fondo pensione. Dalla “Legge delega” nacque il D.Lgs 252/2005, entrato in vigore nel 2007, che sembrava avere finalmente avviato a soluzione il problema della costruzione della “seconda pensione”, soprattutto per i lavoratori che si vedranno calcolare in futuro la pensione interamente, o quasi, con il sistema contributivo.
Le novità, come è noto, non sempre vengono accolte prontamente, tanto più quando si confrontano con istituzioni consolidate nel tempo: nella fattispecie l'istituzione si chiamava Tfr, garanzia di denaro sicuro per i lavoratori al termine di ogni rapporto di lavoro. Ma qualcuno ha cominciato ad osservare che, in caso di più rapporti di lavoro nel corso del tempo, alla fine della vita si rischia di disporre di un risparmio poco significativo; o che, mentre una volta con il Tfr “di tutta una vita lavorativa” ci compravi la casa (o quasi), oggi ci compri l'automobile (o poco più).
E allora si era deciso, per legge, di usare il Tfr, man mano accumulato nel tempo, anche nel corso di più rapporti di lavoro, per concentrarlo, e capitalizzarlo, in un fondo pensione.
Ma poiché si trattava di denaro impegnato in un piano di risparmio di lungo periodo, destinato al “risparmio sacro” per la vecchiaia, e non di denaro finalizzato a speculazione di breve o medio periodo, le norme originariamente varate avevano previsto una tassazione agevolata nella fase dei rendimenti, nonché una deduzione fiscale fino a 5164,57 euro nella fase della contribuzione, e una tassazione sostitutiva nella fase dell'erogazione, modulata in modo da essere più “leggera” (9%) per chi resta iscritto alla previdenza complementare più a lungo (almeno 35 anni): e speriamo che in futuro non venga “appesantita” anche questa.
La norma che si vuole introdurre nella “Legge di stabilità 2015”, appare dunque infelice, da un lato perché penalizza quanti hanno già aderito ai fondi pensione fidandosi di un quadro di “regole del gioco” che ora cambiano, dall'altro perché scoraggia nuove adesioni, visto che manca la garanzia di “regole certe”.
E a proposito di “regole certe” non è finita qui: dopo avere stabilito che la scelta di destinare il Tfr alla previdenza complementare era irreversibile, ora l'art.6, comma 1, del “disegno di legge di stabilità”, consente la reversibilità della scelta, a condizione che il Tfr venga posto in busta paga, dove, tra l'altro, sarà assoggettato a tassazione ordinaria.
Si potrebbe dunque concludere che la previdenza complementare ha più bisogno di stabilità che di “leggi di stabilità”.

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