Previdenza

Il 1988 e l'errore da non ripetere

di Claudio Pinna


La situazione attuale del sistema pensionistico italiano sotto certi aspetti ricorda quella già verificatasi nel 1988. Anche allora infatti si era posta la questione su chi avrebbe dovuto garantire tutta una serie di prestazioni delle quali i lavoratori avevano bisogno e che non risultavano adeguatamente coperte dal sistema pubblico.


In quel periodo infatti l'Inps prevedeva il calcolo delle prestazioni applicando un massimale di retribuzione pensionabile non particolarmente elevato. La retribuzione percepita oltre tale massimale non dava luogo ad alcun incremento della prestazione finale. In diversi casi, quindi, la copertura offerta non risultava sufficiente a garantire, anche dopo la cessazione dal servizio, il medesimo tenore di vita mantenuto durante lo svolgimento dell'attività lavorativa.


Anche allora il dibattito divise in due gli operatori: chi avrebbe preferito far garantire il differenziale di prestazione necessaria sempre al sistema pubblico (incrementando lo spazio di azione dell'Inps), chi viceversa avrebbe preferito incentivare da subito uno sviluppo adeguato delle forme di previdenza complementare, delegando loro il finanziamento delle ulteriori necessità pensionistiche. Alla fine, nel 1988, si decise di eliminare il massimale di retribuzione pensionabile. L'Inps di conseguenza incrementò in maniera clamorosa la copertura offerta, con un sensibile impatto sui conti pubblici.


Più o meno la stessa situazione che stiamo fronteggiando ora. In un contesto peraltro anche più complicato. I lavoratori italiani, infatti, devono far fronte a due necessità di natura previdenziale: una copertura che al pensionamento con ogni probabilità non sarà adeguata; la necessità in diversi casi di poter accedere alla prestazione pensionistica prima degli stretti requisiti introdotti dalla riforma Fornero.


L'impressione è che di nuovo si intenda assolvere a tali necessità attraverso un maggiore intervento pubblico. Vanno in questa direzione la possibilità concessa ai lavoratori di poter ricevere in busta paga il Tfr maturato (riducendo l'efficacia della previdenza complementare) e la volontà, più volte annunciata, di rendere più flessibile il pensionamento nell'ambito dell'Inps (anticipando i requisiti attualmente previsti).
L'impatto dovrebbe essere però attentamente valutato. Nel 1988 infatti la decisione intrapresa contribuì in maniera determinante alla crisi finanziaria nell'ambito della quale l'Italia quattro anni dopo fu poi coinvolta e alla famosa legge finanziaria dei 90mila miliardi di lire introdotta dal governo Amato. Questa volta, senza voler fare i gufi, forse potrebbe essere opportuno considerare seriamente l'approccio opposto.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©