Previdenza

La mobilità va in pensione: le conseguenze per aziende e lavoratori

di Antonino Cannioto e Giuseppe Maccarone

La mobilità va in pensione. A partire dal prossimo anno, i licenziamenti collettivi operati da aziende che occupano (mediamente) oltre 15 dipendenti saranno assistiti solo dalla Naspi. Entra così a regime una disposizione introdotta alcuni anni fa dalla riforma del mercato del lavoro (legge Fornero 92/2012).

L'abrogazione dell'insieme delle regole previste per l'istituto della mobilità, la cui attuazione ha subito un posticipo di 4 anni, sta ora vedendo la luce, gettando nel dimenticatoio uno degli strumenti più utilizzati e maggiormente noti per la gestione delle crisi aziendali.
A ben vedere, la sua archiviazione definitiva produrrà effetti sia per i datori di lavoro, sia per una gran parte di lavoratori. I primi vengono coinvolti sotto un duplice aspetto: le aziende che operano in settori in cui agisce la mobilità non avranno più la possibilità di utilizzare uno strumento con cui governare le eccedenze di personale nei momenti di difficoltà; tutti gli altri datori di lavoro, inclusi quelli a cui non si applica la disciplina prevista della legge 223/91 - perderanno, inoltre, misure incentivanti molto diffuse.

Visti i numerosi anni di vigenza, le facilitazioni contemplate dalla legge 223 sono ormai divenute patrimonio comune. La ricollocazione assistita, in forma stabile, dei lavoratori sul mercato ha prodotto senza dubbio ottimi risultati. Secondo logiche più recenti, tuttavia, si va verso una diversa direzione, dando la preferenza a misure la cui operatività è temporalmente circoscritta. In questo senso va intesa la recente rottamazione della legge 407/90. Non sarà più possibile assumere con facilitazioni, soggetti iscritti o percettori di mobilità.

La scomparsa della normativa produrrà uno scenario diversificato, variabile in funzione di situazioni specifiche. Sino alla fine del corrente anno, le aziende rientranti nel campo di applicazione della legge 223/91 potranno continuare a collocare in mobilità i lavoratori sia dopo un periodo di Cigs (articolo 4, L. 223/91), sia a seguito di licenziamento collettivo (articolo 24, L. 223/91); allo stesso modo, i datori di lavoro che instaureranno rapporti con questi lavoratori entro la fine del 2016, potranno contare - nel rispetto dei principi generali - sugli incentivi che - per le assunzioni a tempo indeterminato – saranno validi anche in caso di sconfinamento nel 2017. Per i contratti a termine che scadranno nel prossimo anno le eventuali proroghe e/o trasformazioni non potranno invece essere incentivate.

L'impossibilità di iscrivere i lavoratori nelle liste di mobilità, invero, si verificherà con un giorno di anticipo rispetto al ruolino di marcia; infatti, opererà già dal 31 dicembre 2016, in quanto l'iscrizione nelle liste decorrerebbe dal giorno successivo alla data di licenziamento (1° gennaio 2017), momento in cui la norma esisterà più. Per lo stesso motivo, dal 1° gennaio 2017 non potranno più essere premiate le assunzioni effettuate con riferimento a soggetti iscritti nelle liste entro il 31 dicembre 2016. L'impossibilità di accedere alle misure agevolate si rifletterà anche sui contratti di apprendistato professionalizzate instaurati con lavoratori che fruiscono della mobilità. Dalla medesima data, con questa tipologia contrattuale sarà possibile assumere solamente lavoratori beneficiari di un trattamento di disoccupazione; per costoro - tra l'altro - da un anno e mezzo, si attendono istruzioni operative da parte dell'Inps. Analogamente, uscirà di cena l'incentivo economico previsto dal Dl 148/93 (L. 236/93) in favore dei datori di lavoro che assumono lavoratori con particolari caratteristiche.

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