Previdenza

Sulla spesa previdenziale le polemiche fanno solo male

di Davide Colombo.

Bisognerebbe sempre evitare di abbaiare sotto l’albero sbagliato quando si parla di analisi di impatto delle politiche pubbliche. È un modo di dire un po’ british ma calza a pennello per il (nascente?) dibattito sul debito pensionistico. Partiamo col dire di che cosa stiamo parlando. Il debito pensionistico è definito come l’insieme dei pagamenti attesi, al netto dei contributi versati, dalle generazioni di lavoratori e pensionati attuali e future. Si distingue dal debito pubblico perché non determina impegni di cassa immediati e si chiama “implicito” perché non è detto che la sua onerosità finanziaria si espliciti davvero nei numeri delle stime attuariali. Nel lungo periodo, per esempio, i governi possono decidere per ragioni molto varie di intervenire sui regimi pensionistici cambiando i flussi finanziari di lungo periodo che erano stati stimati a regole invariate.

Detto questo non significa che è inutile misurare la sostenibilità di un modello previdenziale nel lungo periodo (60-75-80 anni). Anche se si tratta di stime complesse -inevitabilmante soggette a revisioni legate alla crescita economica effettiva, alle dinamiche del mercato del lavoro effettive, ai mutamenti demografici effettivi - Eurostat ha in programma, quest’anno, l’introduzione di una misura aggiuntiva di contabilità nazionale che riguarda proprio il debito pensionistico implicito. Questo parametro, come altri, diventerà indispensabile molto presto per misurare la tenuta di sistemi di welfare in società che invecchiano in paesi con vincoli di finanza pubblica molto rigidi; situazione tipica dei Paesi europei.

Da qui la necessità di limitare il confronto al giusto contesto. E il presidente dell’Inps lo ha fatto organizzando un convegno sul tema, una decina di giorni fa a Roma, cui ha partecipato anche Laurence Kotlikoff, uno dei massimi esperti di contabilità intergenerazionale. Un confronto a tutto campo sulle proiezioni di lungo termine dei cosiddetti “diritti acquisiti” e la loro sostenibilità che, come spesso accade in queste occasioni, ha offerto tante soluzione e altrettante domande. Il Ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco, ha per esempio sollevato questioni complesse sui “fiscal council” indipendenti cui attribuire la valutazione delle stime di sostenibilità di lungo periodo, o gli effetti che questi report possono determinare nel dibattito di policy corrente. Altri hanno invece sollevato argomenti sulla necessaria stima di altre spese sociali di lungo periodo (per esempio per la non autosufficienza) che le proiezioni demografiche impongono. Quelle spese certe future dovranno (potranno?) essere tutte sostenute con maggiori debiti pubblici o potrebbero essere in parte finanziate con assicurazioni private? E queste assicurazioni dovrebbero essere obbligatorie o facoltative? Ecco i termini del dibattito sulle sostenibilità di lungo periodo dei modelli di welfare, un dibattito che andrebbe tenuto lontano dalle polemiche su questa o quella misura previdenziale introdotta con l’ultima legge di Bilancio.

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