Previdenza

Possibile frazionare le domande per la pretesa di un credito

di Serena Fantinelli e Uberto Percivalle


La Corte di cassazione, a distanza di anni da precedenti prese di posizione a sezioni unite (23726/2007 e 26961/2009), è tornata, sempre a sezione unite, sul tema del frazionamento della tutela giudiziaria del credito, ossia sulla possibilità di proporre domande giudiziali di adempimento, riferite alla stessa obbligazione in più giudizi, oppure circa l'obbligo di concentrarle in uno stesso procedimento, a pena di improcedibilità di quelle “tardive”. L'occasione della nuova sentenza (la 4090/2017) riguarda un contrasto giurisprudenziale formatosi con specifico riferimento alle domande aventi origine nei rapporti di lavoro.

Il caso è il seguente: dopo la cessazione del rapporto di lavoro, un lavoratore ha proposto nei confronti dell'ex datore un primo giudizio inteso a ottenere la rideterminazione del Tfr e successivamente un secondo giudizio volto al ricalcolo del premio fedeltà. Il datore di lavoro, evidenziando come il dipendente fosse, già al momento della proposizione del primo giudizio, nelle condizioni di fatto e di diritto per far valere entrambe le pretese in un unico processo, ha quindi sostenuto che la domanda proposta nel secondo giudizio dovesse essere considerata inammissibile, perché in violazione del principio del divieto di abuso del processo per indebito frazionamento, quale affermato dalle sezioni unite nella sentenza 23726/2007.

La sezione lavoro della Corte di cassazione non ha condiviso l'equiparazione dei rapporti obbligatori - retributivi e risarcitori - derivanti dal rapporto di lavoro al “rapporto unico” considerato dalla citata sentenza delle sezioni unite, ma ha dato atto della sussistenza sul punto di un contrasto giurisprudenziale, dovuto al fatto che in altre decisioni (11256/2013 e 27064/2013) la Corte ha invece sostenuto che il principio dell'indebito frazionamento di pretese dovute in forza di un “unico rapporto obbligatorio” debba essere applicato anche alle diverse pretese creditorie derivanti da un medesimo rapporto di lavoro, e ha invocato l'intervento delle sezioni unite.

Al collegio, quindi, è stato chiesto di chiarire se il lavoratore, una volta cessato il rapporto di lavoro, debba necessariamente avanzare in un unico processo tutte le pretese creditorie maturate nel corso del medesimo rapporto e se la proposizione delle relative domande in giudizi diversi comporti l'improponibilità di quelle successive alla prima.

Entrambi i profili hanno avuto risposta negativa, anche se con sottili distinguo.
Il collegio infatti, ha sottolineato come le precedenti sezioni unite abbiano discusso di infrazionabilità del credito riferendosi sempre a un singolo credito, e non a una pluralità di crediti facenti capo a un unico rapporto complesso, risultando “evidente che l'infrazionabilità del singolo diritto di credito (…) non comporta inevitabilmente (tanto meno implicitamente) la necessita di agire nel medesimo, unico processo per diritti di credito diversi, distinti ed autonomi, anche se riferibili ad un medesimo rapporto complesso tra le stesse parti”.

Inoltre, ha continuato il collegio, vi sono varie ragioni sistematiche (via via enunciate ed esaminate dalla Corte) che militano contro un principio generale di concentrazione delle domande riferibili a uno stesso rapporto di lavoro. Anche il sistema processuale depone a favore della frazionabilità delle pretese in più processi: non soltanto non vi sono norme specifiche che prevedano la sanzione della improponibilità della domanda per il creditore che abbia in precedenza agito per il recupero di un diverso credito, sia pure riguardante lo stesso rapporto di durata, ma se non si accedesse alla tesi della frazionabilità, il creditore sarebbe invece costretto ad avanzare tutte le pretese derivanti da un medesimo rapporto in uno stesso processo e con il medesimo rito, perdendo così la possibilità di usufruire di riti alternativi e più celeri.

Le sezioni unite, quindi, hanno concluso con il seguente principio di diritto: «Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Se tuttavia i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque “fondati” sul medesimo fatto costitutivo – sì da non pater essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale - le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. (…)».

Come si legge, la Corte ha cercato un difficile equilibrio tra la dichiarata conclusione che non esiste nel nostro ordinamento una norma tale da obbligare un lavoratore a concentrare tutte le eventuali pretese verso il datore di lavoro, in una stessa causa, a pena di inammissibilità e l'esigenza che era stata posta a fondamento delle passate decisioni che invece avevano dichiarato inammissibile il frazionamento in più azioni giudiziarie, della tutela chiesta verso uno stesso diritto di credito, frazionamento ritenuto un vero e proprio abuso dei rimedi processuali, contrario alla concezione odierna del giusto processo.

Secondo il principio dichiarato ieri dalla Corte, occorrerà di volta in volta valutare se i diritti di credito fatti valere siano distinti e in tal caso se sussistano le condizioni, indicate dalla Corte affinché le domande vengano concentrate in un'unica causa: anche in tale ultimo caso non sarà preclusa la proposizione di domande in giudizi distinti, ma solo dove ciò corrisponda ad un “interesse oggettivamente valutabile”.

Nel caso specifico, considerato che la domanda proposta dal lavoratore nel secondo processo era intesa al ricalcolo del premio fedeltà, mentre la domanda precedentemente proposta era intesa ad ottenere la rideterminazione del Tfr, la Corte ha ritenuto che i diritti fatti valere fossero diversi, fondati su fatti diversi e che dunque nessun ostacolo ricorresse alla proposizione di più giudizi.
C'è da scommettere però che sull'applicazione del principio di diritto enunciato dalla Corte si discuterà ancora in molti giudizi.

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