Previdenza

Così il fisco premia la «Rita»

di Davide Colombo

Dal 1° maggio, ottenuta una certificazione Inps che assicura la possibilità di accesso all’Ape, i lavoratori iscritti alla previdenza complementare (esclusi i fondi a prestazione definita) potranno contare su uno «zainetto finanziario» aggiuntivo: la Rendita integrativa temporanea anticipata (Rita). Basterà avere 63 anni compiuti, 20 anni di contributi, aver cessato il rapporto di impiego, non avere più di 3 anni e 7 mesi da attendere per il pensionamento e aver maturato una pensione non inferiore a 1,4 volte il trattamento minimo (501 euro mensili nel 2016).

La norma è autoapplicativa. Quindi per consentire agli iscritti a un fondo di chiedere l’erogazione frazionata, totale o parziale del montante per il periodo di anticipo in forma di rendita temporanea dovrà essere in funzione tutto il sistema che porta alla certificazione Ape, compresa la modulistica online compilabile sul sito Inps. Sapendo che Rita si potrà ottenere anche senza chiedere l’Ape.

Rispetto alle attuali forme di anticipo del montante cumulato sul fondo pensione con Rita si beneficerà di un trattamento fiscale agevolato assimilato a quello delle rendite: 15%, ridotto dello 0,30% per ogni anno di iscrizione al fondo eccedente il 15esimo, con un massimo fissato al 6 per cento. E per chi è iscritto al fondo pensione da prima del 21 dicembre 2007 gli anni precedenti a quella data saranno computati fino a un massimo di 15.

Questa flessibilità sull’anticipo della rendita pensionistica complementare va oltre le misure previste nel disegno di legge sulla concorrenza, per la cui attuazione è inutile fare pronostici. In quel vecchio testo mai approvato si prevedono due cose: 1)la possibilità di accedere in via anticipata alla rendita per i disoccupati di lungo corso (almeno 24 mesi); 2) la facoltà di destinare anche solo una parte del trattamento di fine rapporto (Tfr) alla previdenza complementare sulla base di intese collettiva.

Come per l’Ape anche la normativa su Rita ha un carattere sperimentale e solo con la legge di Bilancio 2019 sapremo se e come verrà messa a regime. Nei prossimi due anni, è questa la scommessa implicita del Governo che con i sindacati prosegue il confronto anche per affrontare la cosiddetta “fase due” degli interventi previdenziali, si punta a un ritorno di interesse sulla previdenza complementare.

Come è noto la partecipazione ai fondi pensione non è mai stata incentivata fino in fondo nel nostro Paese e ad oggi solo il 25% dei lavoratori è iscritto ad una forma pensionistica complementare. L’intero settore del pubblico impiego, per fare solo uno degli esempi più macroscopici, risulta praticamente scoperto. Per queste vaste platee di lavoratori la facilità di accesso a Rita e gli sgravi fiscali introdotti potrebbero accendere nuovi interessi. E non è neppure da escludere che, prima della conclusione della sperimentazione, non si creino le condizioni per il rilancio di un’operazione di “silenzio assenso” come quella organizzata nel 2007 per indurre l’adesione automatica ai fondi. Allora il tentativo non produsse esiti importanti. Forse perché non venne accompagnato da una campagna informativa adeguata (leva che ha permesso ad altri paesi europei di sviluppare adesioni ben più ampie alla previdenza complementare). Anche in queta prospettiva la nuova Rita potrebbe rivelarsi un catalizzatore utile per introdurre almeno un dubbio: è proprio vero che preferire il Tfr è ancora la scelta giusta?

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