Previdenza

L’assegno contributivo è erogabile raggiunto l’importo minimo

di Fabio Venanzi

Sono passati oltre venti anni dall’introduzione del sistema contributivo puro, avvenuta con la legge 335/1995. L’Inps, con la circolare 10/2017, ha avuto modo di precisare i destinatari di tale sistema di calcolo nei confronti dei lavoratori iscritti alla gestione dipendenti pubblici, mentre per il settore privato continuano a trovare applicazione le disposizioni contenute nella circolare 42/2009.

Oggi è possibile conseguire la pensione contributiva con gli stessi requisiti previsti per la generalità dei lavoratori (66 anni e sette mesi con venti anni di contributi), però è richiesto un importo soglia minimo, pari a 1,5 volte quello dell’assegno sociale (cioè almeno 672,11 euro nel 2017).

La riforma del 2011 ha previsto inoltre il pensionamento anticipato che può verificarsi, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro, con 63 anni e sette mesi di età e venti anni di contribuzione effettiva. In questo caso l’importo soglia è 2,8 volte quello dell’assegno sociale (controvalore per il 2017 pari a 1.254,60 euro).

Se non si dovessero raggiungere i requisiti contributivi, ma soprattutto gli importi soglia, l’accesso alla pensione di vecchiaia sarà possibile con 70 anni e sette mesi di età anagrafica e una anzianità contributiva effettiva di almeno cinque anni. Nella definizione di “effettiva” è considerata la contribuzione obbligatoria, volontaria e da riscatto, rimanendo esclusa quella accreditata figurativamente a qualsiasi titolo. I requisiti anagrafici risentono degli adeguamenti legati alla speranza di vita che, dal 2019, scatteranno con cadenza biennale.

La particolarità dei trattamenti pensionistici liquidati con le regole del sistema contributivo è di non poter essere adeguati al trattamento minimo (501,89 euro attualmente). Infatti, per espressa previsione normativa, l’importo derivante dalla trasformazione del montante contributivo in quota di pensione verrà messo in pagamento qualunque sia il valore. Ovviamente, in presenza di importi al di sotto del minimo vitale (448,07 euro), i pensionati interessati potranno richiedere l’erogazione dell’assegno sociale.

Nel caso di soggetti non coniugati, l’importo erogato a titolo di assegno sociale sarà pari all’importo teoricamente spettante a titolo di assegno sociale (448,07 euro), detratto quello della pensione in pagamento. In presenza di altri redditi, l’importo detratto sarà quello del reddito personale del pensionato. Non è prevista alcuna integrazione nel caso di reddito personale superiore a 5.824,91 euro annui lordi.

Nel caso di pensionato coniugato, il reddito limite è quello coniugale pari a 11.649,82 euro. Pertanto se il reddito complessivo è superiore a tale soglia, l’importo della pensione contributiva sarà messa in pagamento nel valore derivante dal calcolo del montante accumulato. In caso contrario, il pensionato avrà diritto all’integrazione fino a tale soglia, tenendo conto anche del reddito dell’altro coniuge.

Nel nostro ordinamento la pensione di vecchiaia, per poter essere corrisposta, deve formare oggetto di domanda in assenza della quale l’Inps non può provvedere. Tale diritto, se non esercitato, non può considerarsi soggetto a prescrizione. Ciò che si prescrive, in cinque anni, sono i ratei di pensione e rendite già liquidati e non riscossi.

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