Previdenza

Boeri: «Priorità giovani, fiscalizzare i contributi e pensione di garanzia»

di Davide Colombo

Si è aperta con una proposta minimal la relazione con cui Tito Boeri ieri mattina ha presentato a Montecitorio il 16° Rapporto annuale dell’Inps: ribattezzare l’ente come Istituto nazionale della Protezione sociale (non più solo della Previdenza), visto che eroga 440 prestazioni di cui appena 150 sono di natura pensionistica. Ma subito dopo, e dopo un’analisi sui limiti del nostro sistema di ammortizzatori sociali a fronte dei rischi strutturali della globalizzazione e la crescente diffusione delle tecnologie che sostituiscono il lavoro dell’uomo, sono arrivate almeno quattro proposte di policy che s’inseriscono a pieno titolo nel dibattito in corso sul taglio del cuneo fiscale.

La prima: fiscalizzare una parte dei contributi all’inizio della carriera lavorativa per chi viene assunto con un contratto a tempo indeterminato. Sarebbe un modo, ha spiegato Boeri, per garantire ai giovani, in particolare ai nati dal 1980 in poi che avranno un assegno Inps calcolato solo con il contributivo, uno «zoccolo minimo di pensione» e proteggerli dai rischi dei contratti discontinui; contratti che peraltro andrebbero disincentivati perché «trasferiscono troppa parte del rischio d’impresa sul lavoratore, visto che possono essere rinnovati ben 5 volte nell’arco di 3 anni».

Seconda proposta: una «assicurazione salariale» per garantire ai lavoratori che cambiamo posto i quali, nella transizione, manterrebbero almeno inizialmente i livelli salariali che avevano in passato. Lo strumento renderebbe la mobilità meno «socialmente costosa» e la mobilità serve, ha spiegato il presidente dell’Inps, per ridurre il mismatch tra competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dai lavoratori: allinearci ai livelli medi Ocse, su questo fronte, ci farebbe guadagnare dieci punti di produttività del lavoro. Terza proposta: ripensare alla struttura delle retribuzioni per orientare la mobilità dei lavoratori verso posti con più elevata produttività e prospettiva di crescita. Un’altra leva per ridurre il gap di competitività con altri paesi che, per esempio, praticano da decenni e più diffusamente la formazione permanente, l’apprendistato: il jobs act e i contratti a tutele crescenti - ha osservato Boeri - servono proprio per stimolare la formazione sul posto di lavoro.

Quarta proposta: adottare un salario minimo per favorire il decentramento della contrattazione e offrire uno “zoccolo retributivo minimo” per i tanti lavoratori che non sono coperti dalla contrattazione nazionale. «Di fatto il nuovo contratto a prestazione occasionale - ha spiegato - fissa già per legge una retribuzione minima oraria. Di qui il passo è breve per introdurre un salario minimo nel nostro ordinamento». Nel ragionamento del presidente dell’Inps con questo schema si uscirebbe dall’utilizzo improprio, cioè troppo lungo, degli attuali strumenti si integrazione al reddito pensati per le crisi congiunturali. La loro riforma va nella giusta direzione ma ancora non basta: «Oggi paradossalmente i maggiori detrattori del salario minimo sono i sindacati» ha affermato Boeri facendo riferimento anche al tema del Welfare aziendale e all’incontro fissato nel pomeriggio tra sindacati e imprenditori per l’attuazione dell’accordo sulla contrattazione del 2013.

Ma i temi affrontati nella Relazione, la terza di Boeri che è da due anni e mezzo alla guida dell’Inps e ha alle spalle una profonda riorganizzazione della struttura dirigenziale dell’Istituto, non si sono fermati alle politiche per il lavoro. Sul reddito di inserimento («è un passo avanti ma è ancora una misura basata su condizioni categoriali arbitrarie» e il suo importo «è troppo basso») Boeri chiede che la selezione dei beneficiari «venga fatta da chi paga e non dalle amministrazioni locali che ricevono i trasferimenti». Sul punto ha risposto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti: le risorse destinate ai Comuni servono per dare struttura all’offerta di inclusione «che non si può fare dal centro, dall’Inps» e il sistema della protezione sociale deve essere da una «rete nazionale cui partecipano anche le associazioni e il terzo settore».  

Infine il fronte caldissimo dei migranti, Boeri è tornato a ribadire che «non possiamo permetterci di chiudere le frontiere» a chi viene in Italia in regola e per cercare un lavoro. Boeri ha offerta una simulazione destinata a far discutere: un’ipotesi di «azzeramento» dei «flussi in entrata di contribuenti extracomunitari» produrrebbe, ha spiegato, per il 2040 «73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell’Inps». Valori, ha sintetizzato, che comporterebbero a «una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo». Secondo il presidente dell’Inps «una classe dirigente all’altezza deve avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno degli immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale».

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