Previdenza

Fmi: riforma dei contratti per crescere in competitività

di Rossella Bocciarelli

Il Fondo monetario internazionale ha dato la sua “benedizione” al miglioramento congiunturale nel nostro paese, avallando una stima di crescita dell’1,3 per cento per l’anno in corso. Ma il board dell’organismo di Washington, che ieri ha pubblicato i documenti con il dibattito tra i direttori, non rinuncia a incalzare l’Italia affinché faccia di più per ridurre gli storici elementi della sua fragilità. I nodi si chiamano debito pubblico al 133%, si chiamano prestiti deteriorati ancora fra i più elevati d’Europa e costi operativi alti, nel caso del settore bancario; si chiamano, per l’economia italiana nel suo complesso, divari di competitività con i partner europei che ancora non si riescono a colmare. Per affrontare quest’ultimo problema, in particolare, gli esperti diretti da Christine Lagarde consigliano una riforma del sistema di contrattazione salariale. E affermano, con l’aiuto dei loro modelli econometrici, che il passaggio da una contrattazione di settore su base nazionale a una contrattazione su base aziendale potrebbe comportare una riduzione del 3,5% nel tasso di disoccupazione, un aumento del tasso di occupazione pari al 4% e un guadagno di competitività, nel medio termine, pari a circa il 2,5 per cento.

La crescita lenta e la crisi, si ricorda nei documenti diffusi ieri, si sono fatte sentire soprattutto sui lavoratori e sui giovani, fra i quali il tasso di disoccupazione è molto alto, al 35 per cento. Se poi ai miglioramenti della contrattazione salariale si aggiungono gli effetti delle altre riforme strutturali caldamente sostenute dal Fmi (liberalizzazioni sul mercato dei prodotti, altre misure per ottenere una maggiore inclusione nel mercato del lavoro, riforme della Pa, riforme fiscali e pulizia dei bilanci delle banche) il nostro paese potrebbe conseguire nell’insieme un guadagno di competitività di circa l’8 per cento, nel medio termine. Ovvero proprio ciò che serve per garantire una tasso di crescita più robusto e duraturo, secondo gli economisti di Washington, per i quali, oggi, in Italia, il tasso di cambio reale effettivo (Reer) risulterebbe sopravvalutato di quasi il 10 per cento.

Tra i suggerimenti per la politica di bilancio, lo staff del Fondo include anche quelli sulla previdenza. «Le autorità italiane hanno fatto misure importanti sul fronte delle pensioni che nel lungo termine porteranno a guadagni notevoli» ha detto ieri Rishi Goyal, capo dei super ispettori che hanno esaminato il nostro Paese. Ma «nella transazione dal vecchio al nuovo sistema pensionistico ci sono aree di eccessi dove risparmi possono essere fatti». Se questi risparmi si materializzeranno «potranno essere usati sia per ridurre il debito pubblico sia per indirizzare quelle risorse verso politiche pro-crescita» come la riduzione delle aliquote fiscali, programmi pensati per i più vulnerabili e maggiori spese per investimenti pubblici. «Sarà prudente guardare ad alcuni parametri sottostanti il sistema pensionistico e quindi usare stime prudenti su trend demografici e sulle politiche macroeconomiche; ciò aiuterebbe a fare in modo che i risparmi si materializzino in modo migliore di quanto pianificato», ha concluso Goyal, secondo il quale l’Italia «continuerà a fare i conti con un tasso di crescita moderato nel medio-lungo termine». In pratica, il Fondo ritiene che le stime di lungo termine formulate dalle autorità italiane(spesa previdenziale pari al 15 per cento del Pil fino al 2045 e successivo declino fino a quota 13,7% nel 2060) siano troppo ottimistiche. Le proiezioni di lungo periodo adottate dal Fmi parlano invece non di una contrazione della spesa previdenziale ma di un suo incremento per almeno 2,25 punti di pil entro il 2060.

Alle osservazioni del board ha replicato il direttore esecutivo Fmi per l’Italia, Carlo Cottarelli: nel suo statement, ha rimarcato che «i progressi compiuti dall’Italia su più fronti, dai conti pubblici alla riforma del sistema bancario, dovrebbero essere «riconosciuti meglio». In particolare, Cottarelli ricorda che i non performing loans, pari al 9,2% per le banche significative alla fine del primo quadrimestre 2017, scenderanno intorno all’8% nell’arco di dodici mesi.

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