Previdenza

Il nodo delle uscite agita le banche

di Cristina Casadei

Compilo la domanda per il prepensionamento e mi dimetto volontariamente o non la compilo? Questo è il dilemma a cui durante il mese di agosto dovranno cercare di trovare una risposta qualche migliaio di bancari. Gli oltre mille delle venete, i 1.200 del Monte dei Paschi, mentre i 700 che usciranno dal gruppo Ubi avrebbero già avviato le pratiche.

Al di là del dilemma umano e professionale di cui comunque bisogna tenere conto, non si può certo dire che i bancari siano stati lavoratori espulsi dalle aziende a suon di calci. Il sindacato ha sicuramente avuto una parte importante in questo percorso. Allo stesso modo lo hanno avuto le aziende che hanno “investito” per garantire al settore la pace sociale e hanno letteralmente pagato di tasca propria il conto delle uscite. Sempre volontarie e incentivate perché nel settore guai a parlare di cassa integrazione e licenziamenti.

C’è però qualche banchiere che solleva dubbi sulla sostenibilità del Fondo di solidarietà e vorrebbe rivederne i termini. In settembre Abi e i sindacati dovranno vedersi per avviare le commissioni sugli inquadramenti e sul lavoro autonomo e in quell’occasione non si esclude che possa essere aperta la partita. Il segretario generale della Fabi che oggi è il primo sindacato dei bancari frena subito: «Non se ne parla. Nessuno può mettere in discussione il nostro ammortizzatore sociale. Se qualcuno in Abi volesse tentare questa strada si troverà davanti un muro».

Prima di scomodare il futuro di cui si è accennato all’inizio, partiamo dal bilancio del passato. E allora si scopre, che dal 2012 al 2016 sono stati collocati sul fondo di solidarietà 17.152 lavoratori bancari, secondo un calcolo fatto dalla Fabi. I prepensionamenti, tutti su base volontaria, come previsto dagli accordi sindacali, sono costati alle banche italiane circa tre miliardi e 430 milioni. Questo significa che, euro in più, euro in meno, ogni uscita volontaria è costata alle banche quasi 200mila euro. Si spiega anche così perché i bancari sono così affezionati ai loro sindacati e quasi l’80% ha la tessera in tasca. Il costo delle uscite, in passato, è avvenuto senza alcun contributo pubblico perché è stato messo sul conto del Fondo di solidarietà, l’ammortizzatore sociale del credito che, da quando è nato, nel 2000, è stato sempre finanziato dalle aziende.

Il primo sostegno statale al Fondo di solidarietà è arrivato con l’ultima legge di stabilità dove è stato previsto un contributo statale che ammonta a 658 milioni di euro nel quinquennio 2017-21. Come Abi ha ricordato in più occasioni, i 658 milioni sono però una cifra molto più bassa rispetto a quella versata dalle banche per l’istituto della Naspi, l’indennità di disoccupazione che le banche non utilizzano perché non licenziano, per ora, ma fanno uscire i lavoratori volontariamente, con il fondo di solidarietà, garantendo a chi vi entra una cifra che è intorno all’80% della retribuzione. Il presidente del Casl di Abi, Eliano Omar Lodesani, in passato, ha più volte ricordato che «dal 1960 a oggi le banche hanno versato per l’indennità di disoccupazione quasi 10 miliardi di euro». Una montagna di soldi che negli ultimi due anni ha spinto l’Abi a cercare l’affondo per recuperarne almeno una parte.

Siamo arrivati al presente e al futuro. Dal 2017 al 2020 il fondo di solidarietà dovrà gestire 25mila uscite in conseguenza delle numerose ristrutturazioni di settore. Intanto i bacini dei prepensionabili si stanno a poco a poco esaurendo, al punto che è stato necessario un innalzamento del periodo di permanenza sul Fondo che il decreto banche ha portato da 5 a 7 anni. L’accordo di Intesa sulle uscite dei lavoratori delle banche venete, per esempio, consente di usare il fondo a 7 anni. Se andiamo a fare una media, comunque, finora la permanenza media sul fondo di solidarietà è stata di 3 anni e mezzo e questo si deve al fatto che i prepensionamenti con il fondo hanno un costo molto elevato.

Sul Fondo il dibattito rimane comunque acceso, anche perché non c’è settimana in cui non venga chiamato in questione. «Gli accordi che abbiamo sottoscritto da gennaio a oggi – spiega il segretario generale della First Cisl Giulio Romani -, i piani industriali presentati in corso d’anno e gli annunci pervenuti portano intorno a 17.500 i nuovi esuberi decisi solo in questa prima parte del 2017. Un’ecatombe occupazionale, cui come sindacato abbiamo fatto fronte con responsabilità, utilizzando gli ammortizzatori di sistema e, nel caso delle popolari venete, anche l’intervento dello Stato». Sileoni però non ci sta a parlare in questi termini. «Romani parla di ecatombe occupazionale. Io non sono per niente d’accordo. Avrebbe senso parlare di ecatombe occupazionale se ci fossero stati i licenziamenti. Noi siamo l’unico paese in Europa dove il sindacato è riuscito a gestire le uscite senza licenziamenti. Parlare di ecatombe occupazionale significa che il sindacato non ha svolto il suo ruolo. Invece qui siamo in presenza di un sindacato che ha fatto una difesa strenua e concreta dei lavoratori». Il segretario generale della Fisac Cgil, Agostino Megale, allo stesso modo dice che «più che teorizzare ecatombe occupazionali, bisogna valorizzare il fatto che è stata evitata l’ecatombe perché sono stati evitati i licenziamenti. Le relazioni sindacali e industriali sono in questo settore il valore aggiunto per eccellenza che ha permesso, con gli strumenti a disposizione, di governare un processo che poteva essere un’ecatombe. Ma non lo è stato». Anche il segretario generale della Uilca, Massimo Masi, ci tiene a precisare che sì è vero che «nel credito sono arrivate negli ultimi mesi e arriveranno ancora numerose uscite, ma si tratta di esuberi che nascono da accordi sindacali che hanno evitato licenziamenti e vere e proprie macellerie sociali».

Sul finale una nota positiva che riguarda i giovani e la staffetta generazionale che è stata resa possibile grazie al Fondo per la nuova occupazione, istituito nel 2012 e confermato nell’ultimo contratto per garantire agevolazioni economiche alle banche che assumono giovani fino a 32 anni, cassintegrati, disoccupati nelle aree svantaggiate del Paese: da quando è stato istituito a oggi ha permesso l’assunzione a tempo indeterminato di 16.342 persone. Con il contribuito di lavoratori e top manager. Anche questa è solidarietà.

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