Previdenza

«Ostaggio» dell’Inps i contributi versati oltre il massimale

di Antonello Orlando

Gli eventuali contributi versati in eccesso dai lavoratori soggetti al sistema contributivo rischiano di non determinare l’importo della pensione e di non ritornare al diretto interessato.

In base all’articolo 8 del Dpr 818/1957, disciplinato dall’Inps con la circolare 282/1995, i contributi indebitamente versati in un periodo anteriore a cinque anni rispetto al momento dell’accertamento da parte dell’istituto restano comunque acquisiti dall’Inps e sono validi ai fini delle prestazioni conseguenti. Questa “convalida” si applica anche alla contribuzione ai dipendenti dell’agricoltura, ma è esclusa per i fondi speciali sostitutivi dell’Ago (come la gestione ex Inpdap, si veda la circolare 58/2016).

Un particolare problema, però, si pone in riferimento alla contemporanea applicazione di un’altra disciplina “speciale”, vale a dire quella degli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria a partire dal 1996 i quali, in base all’articolo 2, comma 18, della stessa legge 335/1995 versano contribuzione Ivs esclusivamente fino al raggiungimento di un massimale annuo della base contributiva e pensionabile pari, per il 2017, a 100.324 euro.

Può verificarsi il caso di un assicurato post-1995 con un imponibile previdenziale annuale di 150.000 euro che per un (non raro) errore sia invece censito dal proprio datore di lavoro come vecchio iscritto, venendo quindi assoggettato a contribuzione per l’intero ammontare del proprio stipendio lordo.

Se dopo dieci anni il datore di lavoro rilevasse l’errore, lo stesso potrebbe recuperare senza difficoltà, attraverso rettifica delle denunce uniemens, i cinque anni di contribuzione non prescritta, restituendo al dipendente la quota di trattenute previdenziali a suo carico, ma per la quota di contribuzione eccedente il massimale retributivo degli altri cinque anni ormai caduti in prescrizione, il da farsi sembra decisamente più complesso.

Da un lato la circolare 282/1995 definisce genericamente la contribuzione prescritta come «produttiva di prestazione»; la prassi corrente dell’Inps sembra però far prevalere la rigidità del massimale previsto dalla legge 335/1995 per i soggetti iscritti dopo il 1995, escludendo che per costoro la contribuzione eccedente la soglia massima annua, anche se non recuperabile in quanto prescritta, possa concorrere alla definizione della futura prestazione pensionistica.

Il differenziale contributivo (che nell’esempio sarebbe pari a più di 250.000 euro) non potrebbe quindi essere recuperato dal datore di lavoro né dal dipendente, ma risulterebbe al contempo non utile alla definizione delle prestazioni, comportando così la perdita di una quota di pensione contributiva pari ad almeno 300 euro lordi mensili. Il tema, di per sé di non semplice risoluzione, potrebbe essere oggetto di approfondimenti da parte di Inps.

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