Previdenza

I contributi aziendali possono azzerare i costi

di Davide Colombo

Fra gli oltre 400mila lavoratori che, entro la fine del 2019, potrebbero optare per l’anticipo finanziario a garanzia pensionistica ci sarà una buona quota di “apisti aziendali”. Stiamo parlando dei dipendenti del settore privato nati non oltre il luglio del 1956 che, raggiunta un’intesa con il loro datore di lavoro, accederanno all’Ape contando sul pagamento della contribuzione minima piena (calcolata sull’imponibile previdenziale delle ultime 52 settimane) garantita dalla stessa azienda o da un fondo di solidarietà o, ancora, da un ente bilaterale.

Come indicato negli esempi proposti dal team economico di palazzo Chigi (caso di un lavoratore che si ritira 24 mesi prima contando su una pensione netta mensile prevista di 2mila euro) la contribuzione che copre il periodo dell’anticipo fa crescere la pensione finale fino al punto di annullare i costi mensili effettivi del rimborso rateale ventennale dell’Ape.

La circolare Inps pubblicata martedì scorso (n.28/2018) contiene tutte le istruzioni per allegare alla domanda Ape l’accordo aziendale mentre mancano ancora le comunicazioni che riguardano gli enti bilaterali, attese a giorni. L’Ape aziendale non servirà solo per uscire prima e flessibilmente dal mercato del lavoro con un potenziale vantaggio reciproco di dipendenti e aziende. Con il suo debutto si aggiunge uno strumento nuovo anche alla “cassetta degli attrezzi” di cui dispone il datore di lavoro per gestire processi di riorganizzazione del personale o piani di ricambio generazionale.

Atterraggio morbido

«È un’opzione in più per consentire un soft lending a lavoratori che si stanno avvicinando all’età della pensione» spiega Vincenzo Galasso, economista della Bocconi e membro del team di palazzo Chigi che ha lavorato all’Ape. «Nel caso si volesse, per esempio, scendere da 38 a 20 o 15 ore settimanali senza perdere potere d’acquisto - spiega ancora Galasso - l’ape aziendale offre sicuramente una risposta che non dà il part time agevolato». Si cumula una parte dell’anticipo finanziario con lo stipendio ridotto mantenendo invariato il potere d’acquisto e senza ridurre la pensione futura.

Il part-time agevolato, lo ricordiamo, prevede la possibilità per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato che maturano 67 anni e sette mesi di età entro il 2018 con almeno 20 anni di contributi, previo accordo con il datore di lavoro, di ridurre l’orario in una misura compresa tra il 40% e il 60 per cento. Il lavoratore riceve ogni mese, in aggiunta alla retribuzione per il part-time, una somma esentasse corrispondente ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro sulla retribuzione per l’orario non lavorato, mentre lo Stato riconosce la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata. Una formula che ha incontrato scarso seguito (poche centinaia di casi) e giudicata troppo onerosa dai consulenti del lavoro.

Un ampio ventaglio di strumenti flessibili per gestire gli ultimi anni di lavoro in una società che invecchia è fondamentale: l’età media della popolazione è sopra i 45 anni e, come evidenzia il grafico sotto, negli ultimi 25 anni l’età media delle forze di lavoro di 15-69 anni è cresciuta di 5,2 anni arrivando a 43 anni. E l’Ape aziendale, come l’Ape volontario, ha il vantaggio di non appesantire la spesa previdenziale. Vedremo al termine della sperimentazione se avranno saputo rispondere al bisogno di flessibilità sostenibile.

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