Previdenza

«Le proposte anti-Fornero costano da 85 a 105 miliardi»

di Davide Colombo

L’allarme della Commissione europea sulla sostenibilità di lungo periodo della spesa previdenziale è «comprensibile». Anche se nel country report diffuso mercoledì nell’ambito del pacchetto d’inverno del semestre «non si riconosce esplicitamente la scelta importante, fatta dal governo Gentiloni nonostante in Parlamento ci fosse una maggioranza contraria, di mantenere in vita il meccanismo automatico di adeguamento dei requisiti di pensionamento alla speranza di vita, un sistema che altri Paesi non hanno».

Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, non si stupisce degli ultimi rilievi di Bruxelles, che elevano da “basso” a “medio” gli indicatori che stimano il rischio di impatto di questa spesa sul debito pubblico. Soprattutto se si guarda alla prospettiva di un nuovo governo guidato da chi vorrebbe cancellare la riforma del 2011. «Le promesse fatte in campagna elettorale di abolizione della riforma Fornero determinerebbero un aumento del debito implicito di 85 miliardi, circa il 5% del Pil, con un ritorno ai pensionamenti di anzianità a quota 98 oppure con 40 anni di contributi».

Il leader della Lega, Matteo Salvini, poi ha corretto il tiro e ora propone quota 100 con 41 di contributi.

È anche peggio. Secondo i nostri calcoli con quei requisiti e senza le finestre mobili introdotte tra il 2009 e il 2010, l’impatto sul debito implicito salirebbe a 105 miliardi, oltre sei punti di Pil, con una maggiore spesa aggiuntiva al netto dei contributi fino a 20 miliardi l’anno.

Le stime Inps sono state contestate dai partiti che hanno vinto le elezioni.

Rispondo che sono stime prudenziali. Non calcolano, per esempio, i costi aggiuntivi che potremmo dover pagare a chi, essendo andato in pensione in questi anni con le penalizzazioni previste dalle regole attuali, penso a opzione donna, rivendicasse una disparità di trattamento e chiedesse una qualche forma di rimborso.

Gli stessi partiti contestano anche la misurazione della spesa previdenziale, con l’eterno ritorno al tema della separazione dell’assistenza dalle pensioni.

La nostra spesa previdenziale ha una componente assicurativa, una solidaristica e una fatta di favori e privilegi. L’esercizio di separare queste voci a livello nazionale per dimostrare che la spesa per pensioni è bassa non ha senso e non serve nei negoziati con Bruxelles perché ci sono convenzioni internazionali da rispettare in sede Eurostat. Piuttosto si pensi a come ridurre la componente di favori e privilegi per abbassare la spesa pensionistica e, con questa, le tasse sul lavoro, il che permetterebbe di aumentare il numero di contribuenti, il cui calo prospettico giustamente preoccupa Bruxelles.

E come si possono consentire uscite anticipate senza allarmare i partner europei?

Percorrendo la strada della flessibilità sostenibile. La nostra proposta fatta all’inizio della scorsa legislatura, intitolata “Non per cassa ma per equità” andava in questa direzione: se vuoi andare in pensione prima, non molto prima, devi pagare qualche cosa in termini di minore importo della tua pensione.

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