Previdenza

Quota 100: norma-ponte fino al 2021, poi 41 anni per tutti

di Davide Colombo e Marco Rogari

Il “pacchetto pensioni” da tradurre in un emendamento alla manovra è pronto. E poggia su “quota 100” in versione ponte per i prossimi tre anni in vista dell’introduzione, dal 2022-23, di quota 41 per tutti. Le misure definitive prevedono anche una proroga di “opzione donna” per un anno (e non più tre), così come per l’Ape sociale, con l’impegno di un eventuale rinnovo con la prossima legge di Bilancio. Confermato invece in via strutturale il non adeguamento alla speranza di vita dei requisiti per l’uscita anticipata con 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini. Dall’anno prossimo scattano solo i 67 anni per la vecchiaia, requisito destinato a rimanere tale fino al 2023 se saranno confermate le attuali stime Istat sulla speranza di vita, che nel prossimo triennio prevedono un’inversione di tendenza e quindi un calo e non più un aumento della aspettativa di vita.

L’ipotesi più gettonata nelle ultime ore è quella della presentazione di un emendamento nel passaggio al Senato del disegno di legge di Bilancio. Anche se, ancora ieri, non appariva del tutto preclusa la possibilità di inserire il “pacchetto pensioni” già tra i correttivi del governo o dei relatori in arrivo in Commissione Bilancio alla Camera che prima del voto potrebbero trasformarsi in un emendamento unificato (tipo “maxi”). L’eventuale soluzione di scorta per dare una tempistica simile a “quota 100” e Reddito di cittadinanza resta quella del decreto legge post-manovra.

Nei ritocchi che dovrebbero essere presentati tra oggi e domani a Montecitorio (il testo approderà in Aula tra lunedì e martedì con un ricorso alla fiducia quasi certo) ci sono anche un pacchetto-famiglia e il mini-taglio del cuneo contributivo previsto con la riduzione delle tariffe Inail per 600 milioni. Quasi certo anche l’irrobustimento della deducibilità dell’Imu sui capannoni.

Il via a “quota 100” sembra confermata verso aprile, come ha ribadito ieri il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, anche se Matteo Salvini ha insistito sulla partenza anticipata. Ci saranno le finestre mobili (3 mesi nel privato, 3+3 nel pubblico) e il divieto di cumulo della pensione con redditi da lavoro per cinque anni massimi oltre il tetto di 5mila euro l’anno; termine che scende per i pensionamenti a età successive ai 62 anni fino ad azzerarsi a 67 anni. L’opzione di uscita con la nuova anzianità post-Fornero avrebbe una durata di tre anni, per consentire a un numero di lavoratori stimato attorno alle 350mila unità un pensionamento anticipato prima di arrivare all’introduzione di “quota 41” ovvero il requisito unico di contribuzione necessario per il pensionamento anticipato a prescindere dall’età che potrebbe scattare per tutti tra il 2022 e il 2023. La scelta del timing non è casuale: tra 4 o 5 anni oltre il 65% dei nuovi pensionati avrà un montante a calcolo misto con prevalenza contributiva e il coefficiente di trasformazione a 62 anni sarà più penalizzante, per questo il sistema “naturalmente” disincentiverà i ritiri anticipati di massa.

I disincentivi attuali dovrebbero invece contenere le prime uscite a 250-270mila unità, e far scendere la spesa di almeno 1,5-1,8 miliardi rispetto ai 6,7 previsti nel Fondo inserito nella manovra per il 2019. A contenere i costi concorrerebbe anche la proroga di un solo anno di “Opzione donna”, che per Durigon sarà comunque rinnovabile. Il margine potrebbe essere sfruttato in parte per rafforzare le risorse da destinare a investimenti, nella prospettiva del confronto in corso con Bruxelles, e per un’altra fetta per compensazioni diverse all’interno della manovra. Un’altra misura di contenimento della spesa prevede poi il finanziamento bancario dei Tfs/Tfr per i dipendenti pubblici che si pensioneranno dal 2019 in avanti, con gli interessi a carico dello Stato. In parallelo all’emendamento pensioni dovrebbe arrivare anche la stretta sulle cosiddette “pensioni d’oro” e la soluzione al nodo dell’indicizzazione all’inflazione degli assegni futuri. Il “raffreddamento” sui trattamenti più elevati potrebbe passare per una conferma dello schema attuale, introdotto dal Governo Letta e che scadrebbe a fine anno: prevede per le pensioni a partire da tre volte il minimo (circa 1.500 euro al mese) recuperi dell’inflazione via via decrescenti. La scelta finale sul tipo e la portata dell’intervento di solidarietà sugli assegni elevati è legata a quella sulla spesa effettiva prevista per le pensioni di cittadinanza, ovvero l’adeguamento a 780 euro di una quota dei trattamenti oggi inferiori a quel tetto.

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