Previdenza

«Non basta lo sgravio ad assumere per creare un ponte con il lavoro»

di Claudio Tucci

Il reddito di cittadinanza è stato strutturato, al tempo stesso, come politica attiva e come misura di contrasto alla povertà; ma si tratta di due problematiche distinte; e, quindi, «è elevato il rischio» che l’unico strumento non riesca a fornire risposte adeguate a entrambe.

Non solo. Nella fase iniziale sarebbe opportuno «valorizzare l’apporto delle agenzie per il lavoro private» (molto più performanti dei centri per l’impiego); e anche l’incentivo, da 5 a 18 mensilità, per chi assume un percettore di reddito, prevede condizioni d’accesso oltremodo «restrittive» (incremento occupazionale netto, de minimis, obbligo di comunicare le vacancies, solo per citarne alcune). Il beneficio economico, inoltre, «è meno generoso» (rispetto per esempio allo sgravio triennale e generalizzato del 2015, che ha creato quasi un milione di contratti stabili in più rispetto agli anni precedenti); e pertanto - è un altro rischio concreto - l’agevolazione, prevista dal “decretone”, è destinata a incidere «in maniera poco significativa» sull’incremento dell’occupazione.

Per le imprese il nuovo strumento (bivalente, politica attiva e contrasto alla povertà), introdotto dal governo Conte, proprio per l’eterogeneità dei fini perseguiti, genera «alcune criticità sul piano tecnico e applicativo, su cui è opportuno che parlamento ed esecutivo aprano un’attenta riflessione», sottolinea il direttore dell’Area Lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria, Pierangelo Albini, in audizione ieri in commissione Lavoro al Senato.

«Sarebbe stato opportuno - spiega Albini - tenere distinte le finalità e, perciò, gli strumenti, potenziando semmai il Reddito di inclusione» (vale a dire, il Rei, destinato invece a scomparire nei prossimi mesi - nel 2018 sono stati erogati, attraverso il Rei, benefici a oltre 1,3 milioni di persone, il 68% al Sud, per un importo medio di 295,88 euro).

L’importo del reddito di cittadinanza, poi, 780 euro al mese per un single con Isee zero, è «troppo elevato»; così si scoraggia il percettore nella ricerca di un impiego (in Italia lo stipendio mediano di un under30 al primo impiego è di 830 euro netti al mese, 910 al Nord - 820 per i non laureati - e 740 euro al Sud - 700 per chi non possiede un titolo terziario).

Un altro nodo, per le aziende, è il ruolo centrale affidato dalla legge ai centri per l’impiego nelle attività di intermediazione. Nel 2017, secondo dati Istat, solo un disoccupato su quattro si è rivolto alle strutture pubbliche e nella quasi totalità dei casi, per la precisione il 97,6%, non ha ritenuto utile il servizio offerto (si consideri, anche, come a livello internazionale, le percentuali di reinserimento lavorativo derivanti da schemi di reddito minimo non superano mai il 20-25% dei beneficiari).

Da noi il governo punta molto sugli sgravi per assumere stabilmente: «Ma anche qui, nella migliore delle ipotesi - ribatte Albini - l’incentivo contenuto nel decretone sarà pari a un quarto rispetto agli esoneri del 2015».

A non essere adeguato, poi, è il meccanismo di cumulo tra sussidio e reddito da lavoro (andrebbe invece rafforzato in chiave anti-sommerso); e un’ulteriore criticità è la nuova disciplina dell’assegno di ricollocazione che, nei fatti, si restringe ai soli beneficiari di reddito di cittadinanza tenuti a stipulare il “patto per il lavoro”.

«Un errore - chiosa Albini - che penalizza la possibilità di far accedere alla ricollocazione, previo accordo aziendale, anche i lavoratori in cassa integrazione straordinaria». Di qui l’appello al governo a ripensarci, «rendendo obbligatoria, salvo motivate eccezioni, la richiesta dell’assegno di ricollocazione quanto per meno tutti i percettori di Naspi».

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