Previdenza

Crisi d’impresa, i lavoratori ancora senza paracadute

di Angelo Zambelli

Agli inizi di quest’anno è stato emanato il Dlgs 12 gennaio 2019, n. 14, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d’ora in poi Cci), salutato inizialmente con favore dagli operatori del diritto in quanto il Legislatore aveva finalmente deciso di comporre i pezzi di un mosaico sempre più ingarbugliato. La nuova disciplina, infatti, nel rispetto delle indicazioni dettate dalla legge delega ha regolamentato per la prima volta gli effetti della liquidazione giudiziale (il vecchio “fallimento”) sui rapporti di lavoro subordinato, dettando per questi una disciplina specifica che si affianca a quella generale dei rapporti giuridici pendenti.

L’articolo 189, comma 1, secondo periodo, del Cci conferma in buona sostanza quanto previsto nella vigente disciplina di cui al Regio decreto 267/42, ovvero che la liquidazione giudiziale non costituisce motivo di licenziamento e che i rapporti di lavoro, a seguito della sentenza dichiarativa dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale, sono sospesi.

Una portata innovativa era invece prevista dall’articolo 190 del Cci redatto nella bozza di decreto approvato dal Consiglio dei ministri in data 8 novembre 2018, con cui si prevedeva l’introduzione di una forma di sostegno del reddito per i lavoratori nella fase di sospensione del rapporto di lavoro denominata Nuova prestazione di assicurazione per l’impiego nella liquidazione giudiziale (Naspilg), un ammortizzatore sociale equivalente alla Naspi che avrebbe messo fine al problema della sospensione del rapporto di lavoro non garantita da un adeguato sostegno al reddito.

L’articolo 190 del Cci nella sua originaria formulazione rispondeva, dunque, alla necessità di assicurare ai lavoratori una rete di protezione, mentre il curatore esplorava la possibilità di “ricollocare” l’impresa in crisi o di assicurare la ripresa della stessa, consentendogli di offrire al mercato e ai potenziali investitori un’azienda completa di tutti gli elementi che costituiscono quel complesso di beni, mezzi e uomini previsto dall’articolo 2555 del Codice civile.

In questo nuovo “ecosistema” ben si spiegavano, quindi, sia la sospensione iniziale dei rapporti di lavoro per ben 4 mesi, sia la possibilità accordata al curatore di prorogare tale periodo iniziale fino ad un massimo di ulteriori 8 mesi, per un totale complessivo di un anno. E forse anche la risoluzione di diritto dei rapporti di lavoro, superato il periodo iniziale di sospensione e in assenza di proroga, aveva una sua ragione d’essere nel rappresentare un limite all’inerzia del curatore, anche se si fa fatica a conciliare tale ipotesi risolutiva con le norme imperative di derivazione comunitaria che disciplinano i licenziamenti collettivi.

Sennonché, nella fase di “bollinatura” del Dlgs da parte della Ragioneria di Stato tale disciplina è stata sostituita dalla Naspi, prevista solo a seguito della cessazione del rapporto.

Per effetto di questa modifica l’articolo 189 del Cci ha perso gran parte della propria ratio, venendo “depotenziato” nelle sue finalità di tutela dell’integrità dell’impresa con i suoi lavoratori. A tale proposito, è infatti difficile pensare che il curatore possa arrivare a chiedere una proroga al giudice delegato ex articolo 189, comma 4, del Cci poiché ravvisa sussistenti possibilità di ripresa o trasferimento a terzi dell’azienda o di un suo ramo.

A tale proposito, è infatti difficile pensare che il curatore possa arrivare a chiedere una proroga al giudice delegato in base all’articolo 189, comma 4, del Cci poiché ravvisa sussistenti possibilità di ripresa o trasferimento a terzi dell'azienda o di un suo ramo.
Tali possibilità saranno già state sicuramente frustrate dall'“abbandono” necessitato dell'impresa da parte dei lavoratori i cui rapporti di lavoro, per effetto di tale proroga, continuerebbero ad essere sospesi senza retribuzione. I lavoratori, infatti, avranno verosimilmente interesse a rassegnare le proprie dimissioni il prima possibile, senza aspettare il termine loro assegnato ex articolo 189, comma 5, del Cci (dimissioni per giusta causa) e ciò senza contare che le stesse organizzazioni sindacali sono solite mettere “grande pressione” alle curatele fallimentari affinché venga attivata immediatamente la procedura di licenziamento collettivo, peraltro anche qui prevista dal Cci all’articolo 189, comma 6, al fine di fare ottenere almeno la Naspi ai lavoratori dell'azienda “fallita”, tanto più considerato che il recesso da parte del curatore deve essere intimato “senza indugio” (ex articolo 189, comma 3, del Cci).

In conclusione, se così dovesse rimanere, si tratta di una riforma che, di fatto, pone i lavoratori in una condizione sostanzialmente identica, e per certi aspetti peggiorativa (essendo gli unici a non poter più mettere in mora il curatore) rispetto a quella oggi loro riservata dall’articolo 72 della Legge fallimentare, lontana dal tutelare l’integrità del complesso aziendale, obiettivo dichiarato dal Legislatore.

Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza

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