Previdenza

Reddito cittadinanza, slitta l’effetto sul mercato del lavoro. Domande da integrare se presentate a marzo

di Giorgio Pogliotti , Claudio Tucci

I percettori del reddito o della pensione di cittadinanza che hanno presentato la domanda nel mese di marzo possono integrare la domanda collegandosi ad un link dell’Inps, per allineare il contenuto delle dichiarazioni già rese alla normativa prevista dopo la conversione in legge del Dl 4/2019.

La legge di conversione ha previsto un regime transitorio di salvaguardia delle richieste presentate prima della sua entrata in vigore, stabilendo che il beneficio potesse essere erogato per un periodo non superiore a sei mesi anche in assenza della nuova documentazione richiesta. Per garantire la continuità nell’erogazione del sussidio, i nuclei familiari potranno integrare le dichiarazioni di responsabilità presentate in domanda.

L’Inps, tramite il messaggio 3568/2019, avvisa che solo per le domande aggiornate fino al 21 ottobre sarà possibile l’elaborazione nei tempi utili per la liquidazione della rata di Rdc/Pdc spettante ad ottobre. Per chi effettuerà l’aggiornamento dopo il 21 ottobre, la prestazione resterà sospesa sino all’acquisizione della dichiarazione.

Quanto agli effetti dei 704mila beneficiari del reddito di cittadinanza considerati “occupabili” sono praticamente nulli. Le ragioni? Il ritardo nell’avvio delle politiche attive, legate al nuovo strumento di integrazione al reddito decollato ad aprile.

Il primo indizio è contenuto nelle ultime rilevazioni mensili dell’Istat che hanno certificato una riduzione del numero di disoccupati (-87mila tra luglio e agosto), accompagnata da un incremento degli inattivi (+73mila), esattamente il contrario di quanto sarebbe dovuto accadere con il Rdc. Lo stesso fenomeno si registra confrontando il trimestre giugno-agosto con quello precedente (marzo-maggio). Mentre l’occupazione è sostanzialmente stabile, complice anche una situazione economica di stagnazione e la nuova disciplina restrittiva del decreto dignità che ha frenato l’occupazione a termine e in somministrazione.

La conferma di questo quadro ora arriva anche dal governo che l’ha messa nero su bianco nella nota di aggiornamento del Def (Nadef), secondo cui «dai dati dell’indagine sulle forze di lavoro non emerge ancora pienamente l’incremento del tasso di partecipazione che sarebbe dovuto scaturire dall’adesione al reddito di cittadinanza (RdC) e dal conseguente patto per il lavoro». In considerazione di ciò «è ragionevole ipotizzare che l’attuazione completa del RdC avvenga con un certo ritardo rispetto alla previsione iniziale», e vanno corrette le precedenti stime. Nel merito, la Nadef evidenzia come l’incremento del tasso di partecipazione che nel Def era stato attribuito principalmente al primo anno di entrata in vigore del reddito di cittadinanza è «stato ora traslato in parte anche sul 2020, attraverso un moderato incremento del tasso di crescita delle forze lavoro». Secondo i calcoli aggiornati nella nota di accompagnamento al Def, il tasso di disoccupazione aumenterà al 10,2% nel 2020 – anche se l’ultima stima Istat ad agosto è al 9,5% – per poi ridursi gradualmente al 9,5% nel 2022.

L’impennata della disoccupazione era attesa già nel 2019, quando la stessa Commissione europea nel report sull’Italia di aprile paventava un incremento dal 10,6% del 2018 al 10,9% di quest’anno, anche per effetto del gran numero di persone che si sarebbero dovute recare nei centri per l’impiego alla ricerca di un impiego, supportati da un sussidio monetario che può arrivare per un single a 780 euro. Passando così dalla condizione di inattivi a quella di disoccupati.

Tuttavia questa previsione ancora non si è avverata; a sette mesi dall’avvio dei pagamenti del Rdc, solo dall’inizio di settembre sono partite le prime chiamate dei centri per l’impiego alla platea di 704mila “occupabili” sugli 843mila nuclei che beneficiano del Rdc (pari a 2,2 milioni di persone). A partire da quella data, infatti, l’Anpal ha reso disponibili sulla rete informatica delle regioni gli elenchi con i nominativi dei soggetti da convocare ai Cpi per la stipula del patto per il lavoro. A ciò si aggiunga che da Milano a Palermo si stima che tra il 30% e il 40% dei soggetti contattati non ha risposto alle chiamate o agli sms provenienti dai Cpi. Anche ipotizzando che una parte abbia delle giustificazioni valide, resta l’elevata percentuale di mancate risposte. Senza trascurare che su un campione molto ristretto di questa platea, una prima indagine compiuta nei mesi scorsi dagli investigatori della Spesa pubblica della Guardia di Finanza ha messo in luce livelli di frode che si attestano tra il 60-70% dei casi sottoposti a controllo.

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