Previdenza

Fondi pensione, anche agli statali gli sconti fiscali del settore privato

di Antonello Orlando e Matteo Prioschi

In caso di riscatto della posizione da un fondo di previdenza complementare effettuato tra il 2007 e il 2017, ai lavoratori del comparto pubblico si deve applicare lo stesso trattamento fiscale del settore privato. Questa la decisione presa dalla Corte costituzionale con la sentenza 218/2019, depositata ieri.

Il giudizio di legittimità costituzionale è stato sollecitato dalla Commissione tributaria di Vicenza, che si è trovata a dirimere il contenzioso fra l’agenzia delle Entrate e una dipendente del settore scolastico che ha ricevuto dal Fondo di comparto (Espero) una prestazione relativa a quanto accantonato dal 2009 al 2014.

La cifra, riscattata su base volontaria, è stata tassata ordinariamente osservando le norme vigenti per il pubblico impiego. Le forme di previdenza complementare prevedono infatti, accanto alle prestazioni che decorrono insieme alla pensione di primo pilastro, ovvero capitale e rendita, anche una prestazione di smobilizzo parziale o integrale della posizione (riscatto). Questa può essere invocata sia per cause tipizzate dal legislatore (invalidità, scomparsa dell’iscritto, lunghi periodi di inoccupazione) o anche solo per la perdita dei requisiti di iscrizione al fondo, che determinano dunque la facoltà di restituzione integrale del montante accantonato, nonché dei rendimenti, al netto del prelievo fiscale.

Il testo di riforma della previdenza complementare, decreto legislativo 252/2005, ha previsto per la maggior parte dei riscatti una tassazione più favorevole rispetto a quella ordinaria che, così come per i capitali e le rendite accantonati a partire dal 1° gennaio 2007, prevede all’articolo 14 una tassazione sostitutiva senza alcuna applicazione delle addizionali. L’aliquota parte dal 15% e si riduce dello 0,3% per ogni anno di iscrizione successivo al quindicesimo con uno sconto massimo di sei punti percentuali (arrivando così al 9%); negli altri casi di riscatto, anche per previsione dello statuto dei fondi, l’aliquota è al 23% a titolo d’imposta.

Tuttavia i dipendenti pubblici, in attesa di una riforma organica del sistema di tassazione della previdenza complementare già promessa dalla legge 243/2004, sono stati tagliati fuori dalla tassazione di vantaggio riservata al settore privato. Tale esclusione si è tradotta nella ultrattività della normativa previgente (Dlgs 124/1993) e quindi nell’applicazione della tassazione ordinaria ai riscatti operati dai dipendenti pubblici.

Solo in tempi recenti, la legge 205/2017, articolo 1, comma 156, ha previsto l’applicazione anche al pubblico impiego delle regole in tema di deducibilità fiscale e tassazione sostitutiva attive dal 2007 per i dipendenti del privato che avevano aderito a un fondo. Tale correzione normativa è tuttavia efficace solo dal 2018 e non riguardava chi, come la dipendente scolastica protagonista della controversia, aveva contribuito dopo il 2006, ma prima del 2018.

Secondo la Consulta, il meccanismo di finanziamento della previdenza complementare è per sua natura omogeneo nel comparto privato e in quello pubblico e la diversa natura del rapporto di lavoro e l’accantomanto “virtuale” del Trattamento di fine rapporto per i dipendenti pubblici non giustificano una differente tassazione in caso di riscatto della posizione.

La Corte costituzionale ha pertanto dichiarato l’illegittimità del differente regime fiscale del riscatto operato dai dipendenti pubblici, uniformandolo alle previsioni del Dlgs 252/2005 anche nel periodo 2007-2017.

La sentenza n 218/219 della Corte costituzionale

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