Previdenza

L’isopensione ha costi più elevati per l’azienda ma è più conveniente per chi accede alla pensione di vecchiaia

di Antonello Orlando

La legge di Bilancio 2021, oltre a prorogare per un altro anno il contratto di espansione, ha esteso fino al 2023 la durata massima della isopensione “Fornero”. Quest’ultima consiste in un accompagnamento a pensione più accessibile, anche se maggiormente oneroso: a differenza del contratto di espansione, richiede esclusivamente un accordo collettivo aziendale (che può essere declinato in forma volontaria o di licenziamento collettivo), senza alcun obbligo di nuove assunzioni o oneri formativi, mentre il contratto di espansione viene siglato presso il ministero del Lavoro con una procedura modellata su quella della cassa integrazione e obbliga i datori di lavoro a impegnarsi a nuove assunzioni a tempo indeterminato e a formare i lavoratori che restano in organico.

Il numero minimo di lavoratori che le aziende, anche riunite in gruppo, devono possedere per potere accedere al contratto di espansione è sceso da 1.000 a 100 unità lavorative, ma l’isopensione, fin dalla sua prima versione, è accessibile ai datori di lavoro - senza possibilità di aggregarsi in gruppi aziendali - che impieghino appena più di 15 lavoratori.

La versione attualmente vigente della isopensione consente, fino al 30 novembre 2023, di aderire volontariamente allo scivolo pensionistico con una distanza massima - dalla pensione di vecchiaia o anticipata - di massimo sette anni. Dalla fine del 2023 l’isopensione, salvo ulteriori proroghe, tornerà alla sua durata massima naturale di 48 mesi.

Nel caso del contratto di espansione, invece, la durata massima è di sessanta mesi e l’ultimo esodo potrà decorrere entro il 30 novembre del 2021. Il contratto di espansione è dotato di una garanzia normativa contro qualsiasi futura riforma pensionistica che è assente, invece, nella isopensione Fornero. A livello teorico, dunque, i lavoratori in isopensione potrebbero rimanere nel guado di una riforma pensionistica che cambi in corso d’opera il requisito pensionistico, allungando i tempi previsti per accedere a pensione. La prassi degli accordi sindacali, tuttavia, tutela nella maggior parte dei casi i lavoratori, prevedendo che, in caso di riforme, i firmatari dell’accordo di isopensione si riuniscano nuovamente valutando le misure di supporto e accompagnamento ulteriore dei lavoratori in esodo.

L’elemento di maggiore di maggiore differenza fra i due istituti è sicuramente quello dei costi: il contratto di espansione ha una compartecipazione dei costi fra aziende e Stato, prevedendo per ciascun esodato una riduzione dei costi aziendali pari al valore della Naspi, con durata massima ordinaria di 24 mesi; per le aziende con più di 1000 unità lavorative che si impegnino ad assumere di più, vi è una ulteriore riduzione pari ad altri 12 mesi di Naspi, considerando anche i contributi figurativi per chi arriva ai requisiti della pensione anticipata. Inoltre, per chi viene accompagnato a pensione di vecchiaia il datore di lavoro è esonerato dal versamento dei contributi, dovendo sostenere solo l’onere della pensione maturata al momento dell’uscita, per 13 mensilità e senza rivalutazioni.

L’isopensione, invece, prevede sempre l’onere del pagamento dell’assegno e della contribuzione correlata, tutta a carico dell’impresa, senza alcuna riduzione dei costi. Chi ne beneficia di più sono i lavoratori, che godranno così di un assegno maggiore a valle del prepensionamento, rispetto a chi viene prepensionato verso la pensione di vecchiaia con il contratto di espansione.

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