Previdenza

Sui contributi per la pensione niente rivalutazione, il valore è negativo

di Fabio Venanzi

Con la nota del 7 ottobre scorso, diffusa ieri dal ministero del Lavoro, l’Istat ha comunicato che il tasso medio del prodotto interno lordo degli ultimi cinque anni è risultato pari a -0,000215 e, pertanto, il coefficiente di rivalutazione dei montanti contributivi è pari a 0,999785.

Non è la prima volta che accade. Infatti l’indice di rivalutazione dei montanti contributivi era risultato negativo anche a fine 2014, ma allora il Governo intervenne con il decreto legge 65/2015 (volto a recepire anche gli effetti della sentenza della Corte costituzionale in materia di rivalutazione automatica delle pensioni) stabilendo che, in ogni caso, il coefficiente non potesse essere inferiore a uno, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive. In sede di prima applicazione (coefficiente applicato nel 2015, sui montanti contributivi accumulati al 31 dicembre 2014, per le pensioni decorrenti dal 2016) non si fece luogo a recupero sulle rivalutazioni successive, per espressa previsione normativa.

L’Istat precisa che il coefficiente risulta inferiore all’unità, a causa della dinamica negativa del Pil nominale del periodo considerato. Pertanto, per le pensioni con decorrenza successiva al 1° gennaio 2022, i montanti contributivi accumulati fino al 31 dicembre 2020 non subiranno rivalutazioni, per effetto della sterilizzazione all’unità. In assenza di ulteriori interventi legislativi, il coefficiente che sarà reso noto alla fine del 2022 dovrà tener conto del recupero dello 0,0215%, attualmente congelato.

L’utilizzo del coefficiente pari a 1 consente di non penalizzare i montanti contributivi già rivalutati negli anni precedenti. Infatti, in assenza di tale previsione, i montanti accantonati subirebbero una decurtazione pari all’andamento negativo dell'economia. In termini economici, qualora un montante di 100mila euro subisse la “svalutazione”, così come calcolata dall’Istat, diventerebbe di 99.978,50 euro, con una perdita lorda annua sulla pensione pari a circa un euro. Per montanti superiori, la perdita si incrementerebbe in misura proporzionale.

Si ricorda che, il montante contributivo, è pari al 33% delle retribuzioni percepite dal dipendente, rivalutate annualmente in funzione dell’indice Pil. Il montante accumulato, a fine carriera lavorativa, diventa quota contributiva di pensione (cosiddetta quota C) attraverso l’applicazione di coefficienti legati all’età posseduta dal lavoratore al momento dell’accesso alla prestazione. Tali coefficienti sono compresi tra il 4,186% (per pensionamenti con età pari o inferiori a 57 anni) e il 6,466% per assicurati con età pari o superiori a 71 anni.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©