Previdenza

Pensioni, l’anno prossimo l’importo cresce fino all’1,7%

di Matteo Prioschi e Fabio Venanzi

L’anno prossimo gli importi delle pensioni in pagamento aumenteranno per effetto dell’adeguamento all’inflazione prevista nel 2021 e contestualmente verrà abbandonato il meccanismo di rivalutazione in vigore, con qualche modifica, dal 2012 per ritornare a quello a fasce.

Con il decreto ministeriale del 17 novembre scorso, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 26 novembre, è stato stabilito che il tasso provvisorio da applicare nel 2022 per adeguare gli assegni previdenziali alla variazione del costo della vita è dell’1,7 per cento. Si tratta di un dato provvisorio perché calcolato sui valori effettivi dei primi nove mesi dell’anno in corso, mentre quelli degli ultimi tre sono stimati. A inizio 2023 si applicherà il valore definitivo, che potrà essere uguale, più alto o più basso con contestuale conguaglio a favore o sfavore dei pensionati. Lo stesso decreto ha confermato a zero il tasso per il 2020, che era già stato stimato nullo in via provvisoria e quindi non ci saranno conguagli sulle pensioni accreditate il prossimo mese di gennaio, aventi decorrenza nel corso del 2021. In realtà la variazione dell’indice di riferimento calcolato dall’Istat è -0,3%, ma in base all’articolo 1, comma 287, della legge 208/2015, l’adeguamento non può essere negativo e quindi è stato portato a zero (per la terza volta dal 2016 a oggi).

L’aumento dell’1,7% non sarà però applicato integralmente a tutti gli importi degli assegni in pagamento. Salvo interventi al momento non annunciati, da gennaio la rivalutazione delle pensioni avverrà secondo il meccanismo delle fasce che ritornerà in vigore dopo la sospensione introdotta dal 2012 a oggi, periodo in cui la percentuale di rivalutazione è stata applicata all’intero importo, ma con aliquote inversamente proporzionali all’ammontare del trattamento.

In base alle novità determinate dall’articolo 1, comma 478, della legge 160/2019, l’aumento dell’1,700% sarà riconosciuto fino a 2.062,32 euro attualmente pagati. Chi percepisce un assegno più ricco, avrà l’eccedenza rivalutata dell’1,530% (il 90% di 1,7) fino a 2.577,90 euro, mentre l’eventuale quota ulteriore sarà rivalutata dell’1,275% (il 75% di 1,7).

In pratica un assegno di 2.500 euro lordi mensili con le regole attuali sarebbe rivalutato dell’1,309% (il 77% di 1,7) e arriverebbe a 2.532,73 euro. Con il meccanismo a fasce aumenterà a 2.541,76. Nel passaggio da un sistema di calcolo all’altro nulla cambia per le pensioni fino a quattro volte il valore minimo (attualmente 2.062,32 euro) in quanto viene sempre riconosciuto il 100% dell’inflazione, mentre ne guadagnano un po’ gli assegni di importo maggiore.

L’adeguamento riguarda anche il valore del trattamento minimo di pensione che, dagli attuali 515,58 euro mensili, giungerà a 524,34 euro, mentre l’assegno sociale passerà da 460,28 a 468,10 euro mensili.

Inoltre la rivalutazione avrà il suo impatto sui valori soglia minimi per accedere alle pensioni contributive. Il trattamento di vecchiaia non dovrà risultare inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale (controvalore pari a 702,16 euro mensili) mentre la pensione anticipata non dovrà essere inferiore a 1.310,69 euro mensili.

Le pensioni ai superstiti non subiranno tagli se il reddito del percipiente, al netto della pensione, sarà inferiore a 20.449,45 euro. Per redditi superiori a tale valore, e fino a 27.265,93 il taglio sarà del 25 per cento. Per redditi compresi tra 27.265,93 e 34.082,42, il taglio sarà del 40%, mentre per importi superiori il taglio sarà del 50 per cento.

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