Previdenza

Pensioni, mina da oltre un punto di Pil nelle pieghe dei programmi elettorali

di Marco Rogari

Superare la legge Fornero aprendo la strada a quota 41, come propone la Lega. Consentire le uscite dal lavoro a 62 anni senza vincoli, come indica Si-Verdi, o a 63 anni ma con il ricalcolo contributivo dell’assegno, come suggerisce il Pd. Bloccare l’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, come promette Fdi. Introdurre una pensione di garanzia per i giovani e rendere strutturale Opzione donna, come prevedono diversi partiti, che, quasi in toto, s’impegnano anche sul prolungamento dell’Ape sociale. E ancora: innalzare la soglia minima delle pensioni ad almeno mille euro, come ribadisce Silvio Berlusconi, sostenuto, seppure con una formulazione più prudente, da tutto il centrodestra ma, quasi inaspettatamente, anche da Si-Verdi. Ed evitare il ritorno alla legge del governo Monti attraverso forme di flessibilità in uscita in prima battuta per i lavoratori impegnati in attività gravose e usuranti, come assicura il M5S. Tra le promesse dei partiti per accattivarsi le simpatie degli elettori in vista dell’appuntamento elettorale del 25 settembre alla delicata voce “pensioni” si intercettano (ad esclusione di Azione-Iv che non ipotizza misure specifiche) ricette e ipotesi per tutti i gusti e per tutte le fasce d’età. Un inseguirsi di idee, alcune un po’ impolverate dal tempo altre nuove di zecca, che però non sono quasi mai accompagnate da due parametri chiave per le sorti del nostro sistema previdenziale: il costo e la ricaduta in termini di sostenibilità soprattutto nel medio-lungo periodo.

Secondo alcune stime ufficiose, ma elaborate partendo dalle ultime previsioni della Ragioneria generale dello Stato, prevedere contemporaneamente il ricorso a Quota 41, lo stop ai meccanismi automatici di adeguamento all’aspettativa di vita, la proroga di Opzione donna e Ape sociale e l’avvio di un percorso per far salire, anche gradualmente, tutti gli assegni a non meno di mille euro, appesantirebbe la spesa pensionistica di oltre un punto di Pil. Per l’Inps, ad esempio, sarebbero necessari 4 miliardi il primo anno per l’introduzione di Quota 41 (ma Lega e sindacati affermano che ne basterebbero 1,4 perché l’adesione non sarebbe superiore al 40% della platea potenziale). I tecnici del Mef calcolano poi un aumento dopo pochi anni dello 0,3% della spesa sul Pil per l’abolizione dell’adeguamento alla speranza di vita per il solo canale di uscita contributiva (quello con 42 anni e 10 mesi di versamenti, che scende di un anno per le donne). Non meno di 8-10 miliardi sarebbero poi necessari per un immediato aumento a mille euro degli assegni di una sola fetta del bacino di oltre 5 milioni di pensionati che si ritrovano sotto questa soglia. Almeno altri 500 milioni dovrebbero poi essere recuperati per garantire anche nel 2023 le uscite con Ape sociale e Opzione donna.

In ogni caso il mancato riferimento nei programmi agli oneri aggiuntivi collegati alle misure proposte appare come una dimenticanza non proprio casuale. Anche perché lo stato di salute del sistema previdenziale, ovvero di quello che è uno dei capitoli del bilancio perennemente sotto osservazione (anche da parte di Bruxelles), non appare dei migliori. Le previsioni più aggiornate della Rgs parlano di una crescita della spesa sul Pil dello 0,5% tra il 2022 e il prossimo anno: dal 15,7% al 16,2%. E sottolineano come nel prossimo biennio è attesa un’impennata di oltre 0,7 punti percentuali dovuta soprattutto alla necessità di indicizzare i trattamenti alla corsa dell’inflazione, e per questo destinata a salire ancora, oltre che al preoccupante andamento demografico e agli effetti prodotti dalla pandemia. Forse anche per questo motivo il programma comune del centrodestra esibisce una formula abbastanza prudente: «Flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e accesso alla pensione, favorendo il ricambio generazionale» e «innalzamento delle pensioni minime, sociali e di invalidità», senza citare alcun importo. Negli impegni assunti dal Pd, la legge Fornero rimane di fatto centrale, visto che è ancorata al metodo contributivo la possibilità di uscita a 63 anni. A differenza dagli alleati Si-Verdi, i Dem non promettono di irrobustire le pensioni minime ma propongono un aumento del valore e della platea dei beneficiari della “quattordicesima” contro il carovita.

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