Adempimenti

Forum Lavoro, le risposte del ministero del Lavoro

Licenziamenti economici e la nuova conciliazione volontaria
1) Il licenziamento illegittimo motivato per il superamento del periodo di comporto per i neo assunti rientra nella disciplina delle tutele crescenti?
Analogo problema lo abbiamo affrontato in relazione all'obbligo della conciliazione in caso di superamento del periodo di comporto e, come ben sappiamo, è stato definitivamente superato solo con un provvedimento normativo (D.L. n. 76/2013). Con circ. n. 3/2013 è stato infatti precisato che “non si ritiene (…) ricompreso nell'ambito dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo il licenziamento avvenuto per superamento del periodo di comporto ai sensi dell'art. 2110 c.c. la cui violazione, peraltro, trova una specifica tutela nell'ambito del riformulato art. 18 della L. n. 300/1970”.
Sul punto occorre quindi svolgere alcuni approfondimenti.

2) Il licenziamento per scarso rendimento del lavoratore neo assunto rientra nelle tutele crescenti?
Sembrerebbe una ipotesi di licenziamento disciplinare che, come ben sappiamo, è disciplinato dal decreto.

3) Quale disciplina si applica al licenziamento per mancato superamento della prova del lavoratore neo assunto?
Siamo nell'ambito dei licenziamenti che non richiedono particolari giustificazioni. Se c'è il c.d. patto di prova non vale il principio secondo cui il lavoratore può essere licenziato solo ricorrendo una giusta causa o un giustificato motivo.

4) E' possibile conciliare con lo stesso verbale sia licenziamento a tutele crescenti che altre rivendicazioni ( ad es. differenze retributive)?
Direi che non ci sono particolari problemi, sempre che siano ben distinte le somme corrisposte a titolo a titolo indennitario dalle altre somme. Per le prime è infatti specificatamente prevista la non assoggettabilità a contribuzione e a ritenute fiscali.

5) E' possibile godere dei benefici di legge (esenzione fiscale e contributiva) se si deroga ad alcune modalità previste dalla legge: luogo della conciliazione (sedi assistite), tempo della proposta (60 giorni dal licenziamento), entità dell'importo offerto (una mensilità per anno da 2 a 18 mensilità al massimo) e modalità di pagamento (assegno circolare contestuale)?
Su ciascuna di tali ipotesi occorre verificarne quale sia la ratio sottostante alle prescrizioni di legge. Ad esempio il pagamento tramite assegno circolare vuole garantire la effettiva corresponsione delle somme pattuite, pertanto è possibile derogarlo solo in costanza di una modalità alternativa che assicuri comunque il buon esito del versamento.

Licenziamenti disciplinari: quando la reintegra e quando l'indennizzo
1) In riferimento alla fattispecie di cui al comma 1 dell'art. 3, in cui risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o del giustificato motivo soggettivo o, infine, della giusta causa, la sussistenza del fatto materiale è elemento comunque necessario?
La sussistenza del fatto materiale assume un particolare rilievo “nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa”; la sua assenza, come previsto espressamente dal Legislatore, determina una tutela reintegratoria.

2) Nella fattispecie di cui al comma 1 dell'art. 3, vanno ricomprese quelle ipotesi di licenziamento che si caratterizzano per una sostanziale sproporzione tra il fatto accertato e la sanzione applicata?
Il comma 1 va letto unitamente al comma 2 dello stesso art. 3. “Nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa” il fatto materiale assume rilievo e pertanto, in quanto elemento di valutazione del giudice, la sua assenza determina una tutela reintegratoria. Qualora non sia in discussione la esistenza del fatto materiale ma la sproporzione “tra fatto accertato e sanzione applicata” sembra sempre applicarsi una tutela indennitaria.

3) L'indennizzo previsto dal comma 1 dell'art. 3, sul quale non vanno calcolati i contributi previdenziali, è assoggettato a ritenute fiscali ?
Fermi restando alcuni approfondimenti appare difficile sostenerlo. Per ora è possibile evidenziare che il Legislatore ha previsto espressamente che non c'è assoggettamento a contribuzione ma nulla dice sulle ritenute fiscali. Il mancato versamento delle ritenute è previsto espressamente solo con riferimento alle somme corrisposte in sede conciliativa.

4) Nella ipotesi di cui al comma 2 dell'art. 3, secondo la quale la tutela reintegratoria deve riconoscersi esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, il Giudice deve limitarsi a verificare la sussistenza e/o insussistenza del fatto materiale e quindi riconoscere la tutela reintegratoria anche in riferimento a quelle situazioni nelle quali, seppur sussistente, il fatto materiale risulti essere comunque di nessuna o di lieve dannosità nel contesto aziendale?
Il dato testuale della norma sembra dire in realtà che, in capo al giudice, “resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento” ai fini della concessione della tutela reintegratoria.

5) L'art. 3 comma 2 sembra introdurre un nuovo ambito processuale laddove, richiedendo che l'insussistenza del fatto materiale venga dimostrata direttamente in giudizio; orbene, spetta al lavoratore l'onere di provare l'insussistenza del fatto materiale?
Sembra esserci, in sostanza, una inversione dell'onere della prova, atteso che la formulazione della norma prevede la reintegra nei soli casi in cui sia “direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato”.

6) Nell'art. 3 comma 2 il legislatore si limita ad indicare che il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione. Ebbene, quale è il regime sanzionatorio applicabile sui contributi previdenziali? E questi ultimi devono comunque essere considerati in una logica di differenziale contributivo, allorquando il lavoratore abbia svolto altra attività lavorativa durante il tempo successivo alla reintegra?
Su questi aspetti strettamente tecnici si faranno i dovuti approfondimenti insieme agli Istituti previdenziali.

Licenziamenti discriminatori e nulli

1) Il regime descritto dall'art. 2 si applica alle aziende di qualsiasi dimensione?
In relazione al campo applicativo trova applicazione l'art. 1, dove è espressamente prevista l'applicabilità del decreto con riferimento ad una determinata platea di lavoratori.

2) Il regime descritto dall'art. 2 si applica anche ai dirigenti?
Sembrano essere esclusi in virtù di quanto previsto dall'art. 1, che fa riferimento esclusivamente a operai, impiegati o quadri. Ciò non toglie che possa trovare applicazione l'art. 18 dello Statuto.

3) Esistono casi di nullità sottratti al regime descritto dall'art. 2?
Se qualificato come “discriminatorio” o rientrante in altre specifiche ipotesi previste dalla legge al licenziamento si applica l'art. 2. Il problema potrebbe porsi per quei licenziamenti che non sono qualificabili come “discriminatori” e non sono espressamente dichiarati nulli dalla legge (es. licenziamento per ritorsione).

4) La reintegra opera anche se il licenziamento è formalmente irrogato per altri motivi, ad esempio economici?
Ciò che conta è la ragione del licenziamento come acclarata in giudizio.

5) Il datore di lavoro può sostituire alla reintegra la liquidazione di una indennità alternativa?
Tale possibilità è conferita esclusivamente al lavoratore, atteso che il legislatore prevede espressamente che “al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità…”.

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