Adempimenti

Niente diffida accertativa per le differenze retributive da inadempimento

di Luigi Caiazza e Roberto Caiazza

Le differenze retributive che non sono diretta conseguenza della prestazione lavorativa ma di un eventuale inadempimento contrattuale, riguardano crediti di natura risarcitoria e, come tali, non rientrano nell'ambito di applicazione della diffida accertativa di cui all'articolo 12 del Dlgs n. 124/2004.
In tal senso si espresso l'Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) con la lettera circolare prot. n. 441/2021 del 17 marzo in risposta a un apposito quesito con la quale ha anche fornito ulteriori chiarimenti circa il termine decadenziale in merito nell'azione per responsabilità solidale.
In merito al primo punto, riferito a una riduzione unilaterale dell'orario di lavoro da parte datoriale e della conseguente decurtazione dello stipendio, in tal caso è evidente che ricorre l'inadempimento previsto dall'articolo 1218 del Codice civile, ascrivibile al datore di lavoro che, unilateralmente e senza la necessaria forma scritta, avrebbe ridotto al lavoratore l'orario di lavoro e la corrispondente retribuzione, non consentendo a quest'ultimo di rendere la prestazione e ricevere la relativa retribuzione come da contratto.
Fermo restando che nel contratto part-time la trasformazione dell'orario può derivare solo da accordo scritto tra le parti, nel full-time invece, non essendo prevista una forma scritta, la correttezza della modifica potrà essere provata anche attraverso “comportamenti concludenti”, cioè mediante una reciproca manifestazione tacita. In tal caso le eventuali rivendicazioni del lavoratore sono di esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria.
La seconda questione riguarda la possibilità di emettere la diffida accertativa oltre il termine di due anni, di cui all'articolo 29, comma 2, del Dlgs n. 276/2003, nel caso in cui il lavoratore abbia comunque impedito la decadenza legale attraverso l'invio al committente di un atto di diffida stragiudiziale.
Premesso che l'azione di tutela da parte del lavoratore, nei confronti del committente, può riguardare sia l'aspetto retributivo, sia contributivo ed è sottoposta a un termine di decadenza di due anni dalla data di cessazione dell'appalto, e fermo restando che la parte contributiva riguarda una diversa azione di recupero rimessa all'iniziativa dell'ente previdenziale soggetta all'ordinario termine prescrizionale di cinque anni, diversa è la soluzione in merito al primo aspetto, quello retributivo.
Infatti, in tale ultima circostanza la decadenza di cui al citato comma 2 dell'articolo 29 può essere impedita dalla tempestiva iniziativa del lavoratore, il quale nel suddetto termine biennale abbia provveduto al deposito di un ricorso giudiziario ovvero mediante un atto scritto, anche stragiudiziale, inviato al committente, comunque finalizzato alla rivendicazione in questione.
Verificandosi tali presupposti essenziali è possibile emanare la diffida accertativa a condizione, però, che non sia intervenuta la prescrizione e sempre che sussistano le condizioni essenziali di certezza, liquidità ed esigibilità del credito vantato dal lavoratore.

La nota dell'Ispettorato nazionale del lavoro

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