Adempimenti

Una governance per assicurare servizi per il lavoro efficaci su tutto il territorio

di Maurizio Del Conte

Dopo l’emorragia occupazionale registrata nell’ultimo anno, le imprese non dovrebbero faticare a trovare lavoro per sostenere la ripartenza. Eppure già si segnalano difficoltà nel reperire le professionalità di cui c’è bisogno. Non sempre si tratta di competenze ultra specializzate. La carenza di professionalità è a tutti i livelli.

Il paradosso del binomio alta disoccupazione/carenza di competenze adeguate si spiega principalmente con la cronica debolezza del nostro sistema formativo, incapace di intercettare il fabbisogno di professionalità espresso dalle imprese, ma anche con la scarsa cultura della intermediazione professionale nel mercato del lavoro. Quando ci si lamenta della diffusione del lavoro sommerso e del dumping salariale, si dimentica che questi fenomeni sono anche frutto della mancanza di efficaci servizi di orientamento e accompagnamento al lavoro.

Dalla realizzazione delle opere finanziate con il Pnrr ci si attende un incremento di alcune centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. Ma non è scontato che alla maggiore quantità corrisponda anche una migliore qualità del lavoro. Per questa ragione è stata inserita nel piano finanziato dall’Europa la misura sul lavoro e l’inclusione sociale, che si pone proprio l’obiettivo di migliorare la qualità del lavoro attraverso il potenziamento delle politiche attive, con uno stanziamento straordinario di oltre 6 miliardi di euro.

Tuttavia la disponibilità di risorse non è di per sé, garanzia di miglioramento dei servizi. Come è noto l’attuale sistema delle politiche attive è assai poco efficiente e pompare denaro in un sistema inefficiente non può che aumentarne il tasso di inefficienza. Occorre dunque ridefinire l’attuale architettura dei servizi per il lavoro, a cominciare da una nuova governance che, nel rispetto del riparto di competenze tra Stato e regioni, sia funzionale all’obiettivo di garantire servizi di qualità su tutto il territorio nazionale.

Il primo, importante segnale in questa direzione è stato il commissariamento di Anpal. Ma è solo l’inizio di un percorso, perché le politiche attive non si esauriscono nei vertici della agenzia nazionale. Regioni, centri per l’impiego e soggetti privati accreditati devono lavorare in stretto coordinamento con il livello nazionale.

A sua volta, ministero del Lavoro, Inps, Inail, Ispettorato e la stessa Anpal devono mettere a disposizione i preziosissimi dati di cui dispongono, come le comunicazioni obbligatorie, le posizioni previdenziali, assistenziali, assicurative e ispettive delle imprese e dei disoccupati. Fare politiche attive senza queste informazioni è come illudersi di colpire il bersaglio sparando alla cieca. Occorre poi definire le misure nazionali di politiche attive, a partire dall’assegno di ricollocazione, sciaguratamente sospeso per i disoccupati beneficiari di Naspi.

Infine, occorre mettere Anpal nelle condizioni di agire come organismo leggero e sburocratizzato, lasciando al ministero del lavoro il compito di indirizzare le politiche e di vigilare sulla loro attuazione, valutandone l’impatto. Per una fortunata congiuntura storica, oggi disponiamo di tutti gli elementi necessari: risorse finanziarie, istituzioni pubbliche specializzate e enti privati con lunga esperienza sul campo. Manca, però, un progetto che componga questi elementi in un efficace modello di politiche attive, in linea con quanto realizzato con successo in altri Paesi europei.

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