Adempimenti

Le armi del Fisco per rettificare i redditi dei professionisti

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

La recente sentenza della Cassazione (si veda il Sole 24 Ore del 10 settembre) sulla sufficienza dei soli riscontri esterni ai fini della rettifica di maggior reddito ai professionisti, fa tornare di attualità alcune metodologie di controllo seguite da agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza nei confronti dei lavoratori autonomi.

Si tratta, in sintesi, del rilevamento di notizie presso uffici pubblici e terzi soggetti da cui desumere l’effettuazione della prestazione del professionista e la sua onerosità. A questo punto, secondo i giudici di legittimità, incombe sul professionista l’onere di provare le ragioni del mancato incasso della somma, essendo sufficiente ai fini della rettifica la semplice sussistenza di elementi indiziari da cui presumere sia l’esecuzione della prestazione, sia la remunerazione.

Secondo la sentenza 24255/2021, è legittima la rettifica di maggiori compensi nei confronti di un avvocato che, risultando difensore sulla base di varie sentenze, non è in grado di argomentare le ragioni della mancata percezione dell’onorario. Non è sufficiente, infatti, invocare che dalla contabilità non risulti alcun versamento e quindi, in base al principio di cassa, non sussisterebbe il presupposto impositivo.

Nella specie, ad uno studio legale erano stati contestati maggiori compensi sulla base di sentenze acquisite presso vari uffici giudiziari da cui emergeva che lo studio aveva patrocinato varie difese. I risultati dell’accertamento erano stati oggetto di un contraddittorio preventivo senza che i professionisti interessati fossero stati in grado di giustificare la mancata corresponsione dei compensi. Secondo i giudici di legittimità, il fatto rilevato in sede difensiva, che dalla contabilità non risultasse il versamento di alcun compenso, era irrilevante: la rettifica analitico-induttiva prescinde dalla contabilità anche se formalmente regolare basandosi su presunzioni assistite dai requisiti previsti dall’articolo 2729 del Codice civile.

In virtù della pretesa fiscale basata su una prova per presunzione, il contribuente per resistere avrebbe dovuto dimostrare di non aver percepito alcun reddito; ad esempio, secondo la sentenza, producendo diffida ad adempiere o richieste di decreto ingiuntivo, o provare l’infruttuosità dell’esecuzione. In sostanza è onere del contribuente dimostrare l’esistenza di fattori che abbiano impedito, o che comunque siano stati idonei ad impedire, l’incasso dei compensi. A nulla vale, invece, obiettare l’inesistenza di violazioni in assenza di versamenti, in quanto nella specie, conclude la sentenza, è ragionevole ritenere che il documento fiscale sia stato omesso proprio per sottrarsi al pagamento delle imposte.

Da evidenziare che proprio per i controlli agli studi legali, la metodologia a suo tempo predisposta dalle Entrate, prevede che la gratuità delle prestazioni possa essere considerata verosimile nei confronti di parenti o di colleghi-amici. Sempre secondo tale metodologia:

a) qualora il professionista sostenga il mancato pagamento dell’onorario da parte del cliente, si potrà riscontrare presso il Consiglio dell’Ordine se siano state presentate parcelle per il parere o visto di congruità necessario al fine di chiedere il decreto ingiuntivo;

b) l’eventuale riscontro negativo potrà essere considerato, sebbene di per sé non determinante, un elemento di prova di occultamento di compensi.

La ricerca di elementi indiziari idonei a supporre la possibile omessa fatturazione se per gli avvocati può avvenire mediante acquisizione delle informazioni presenti nei fascicoli relativi ai vari procedimenti patrocinati (Cassazione, Consiglio di Stato, Tribunali, Tar, Corte dei conti, commissioni tributarie ecc.), nel caso dei commercialisti e consulenti del lavoro, il riscontro potrebbe basarsi sulle dichiarazioni e altre istanze e modelli trasmessi a uffici pubblici e dai bilanci.

Vi è poi un controllo sulle spese non solo ai fini della loro deducibilità, ma anche perché possono rappresentare indicatori di sottrazione a tassazione di compensi.

Secondo le metodologie, infatti, la logica dell’analisi dovrà improntarsi ad una lettura funzionale dei componenti negativi di reddito in connessione con la natura dei compensi.

Il rilevamento di eventuali ingiustificate sproporzioni rispetto ai compensi dichiarati, viene spesso ritenuto indiziante di una omessa fatturazione. È il caso, ad esempio (per gli studi contabili) del rapporto tra la potenza dei programmi per l’elaborazione dei bilanci ed i bilanci ufficialmente redatti, e più in generale per tutti i professionisti dell’ampiezza del rischio professionale coperto con assicurazione ed il volume d’affari dichiarato.

Altra voce molto attenzionata dai verificatori per tutti i professionisti è rappresentata dai cosiddetti «costi residuali» nella quale confluiscono una serie di oneri non specificamente rientranti in altre voci della dichiarazione, la cui deducibilità è attentamente valutata.

Gli indicatori

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