Adempimenti

Crisi d’impresa, sulle nuove norme il nodo delle penalità sui licenziamenti

di Carmine Fotina e Claudio Tucci

Resta un’impresa complicata trovare un’intesa tra ministero del Lavoro e ministero dello Sviluppo economico sulle norme che regolano il comportamento delle grandi imprese che intendono chiudere un sito produttivo in Italia. Difficile, ma non da escludere secondo alcune fonti di governo, l’approdo al consiglio dei ministri di domani. Le misure si applicherebbero alle realtà con almeno 250 dipendenti che chiudono «per ragioni non determinate da squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne renda probabile la crisi o l’insolvenza».

Il provvedimento, che potrebbe assumere la veste di emendamenti al decreto sulle crisi d’impresa all’esame del Senato o in extremis tornare a prendere la forma del decreto come inizialmente ipotizzato, conterrà una parte cui sta lavorando principalmente il ministero guidato da Andrea Orlando, sugli obblighi di informazione preventiva e il piano di mitigazione delle ricadute occupazionali, e una parte curata dal dicastero di Giancarlo Giorgetti che dovrebbe legare la concessione degli incentivi ad impegni occupazionali per lavoratori coinvolti nelle situazioni di crisi, in sostanza trasferendo in una norma quanto già deciso con un atto d’indirizzo alle direzioni generali. Allo Sviluppo si valuta anche la possibilità di concedere agevolazioni specifiche sugli immobili strumentali, in pratica capannoni in dismissione, nel caso di cessione con continuità dei livelli occupazionali.

I due ministri, non è un mistero, sono su piani lontani per quanto riguarda i dettagli tecnici del provvedimento, e in primis gli oneri che ricadrebbero sull’azienda nel caso in cui non presenta il piano per limitare le ricadute occupazionali o questo non porti alla stipula di un accordo sindacale. Il contributo di licenziamento per singolo lavoratore, che una prima bozza ipotizzava decuplicato e una successiva versione raddoppiato, nell’ultima ipotesi di testo sarebbe di nuovo salito con aumento di sei volte. Non ci sarebbe invece più traccia dell’altra sanzione originariamente prevista, cioè lo stop a contributi e finanziamenti pubblici per i successivi 5 anni (erano già uscite di scena ipotesi di black list e di maxi multe sul fatturato). Del resto, oggi sono già previste sanzioni: con il decreto dignità, articolo 5, si stabilisce che le aziende che hanno beneficiato di contributi pubblici, e delocalizzano, entro 5 anni dalla conclusione dell’iniziativa agevolata decadono dal beneficio. E c’è poi la normativa del decreto crescita sui marchi storici.

Il provvedimento conferma una sorta di preavviso attivo di 90 giorni da parte dell’azienda (che intende chiudere il sito produttivo, e quindi procedere ai licenziamenti collettivi). Entro tre mesi l’impresa è tenuta a presentare il piano di mitigazione socio-economica che prevede anche misure di politica attiva (si starebbe pensando di farle rientrare nell’ambito del programma Gol, e non quindi a carico delle imprese). Si ipotizza anche di concedere nuove settimane di cigs per prospettata cessazione per salvaguardare, il più possibile, il perimetro occupazionale (e per favore processi di ristrutturazione o riconversione industriale).

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