Rapporti di lavoro

La motivazione del recesso tutela il datore

di Stefano Rossi


La possibilità di recedere dal periodo di prova senza obbligo di preavviso o di indennizzo è subordinata al fatto che il patto di prova sia legittimo. In caso contrario, si rischia l'applicazione delle regole generali previste per i licenziamenti. Motivare il recesso, dunque, può essere una tutela per il datore nel caso di un futuro contenzioso.

Secondo la Cassazione, il recesso intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, salvo che la motivazione sia imposta, a tutela del lavoratore, dalla contrattazione collettiva. Non sono quindi necessari, in generale, né una formale comunicazione delle ragioni del recesso né l'onere della prova scritta.

La giurisprudenza di merito, peraltro, ha affermato che il recesso esercitato dal datore di lavoro durante il periodo di prova non soggiace alla disciplina limitativa del licenziamento individuale. Se il patto di prova stipulato tra le parti è valido, dunque, non sarà necessario applicare la disciplina protettiva sui licenziamenti individuali, compreso lo Statuto dei lavoratori. Infatti, la funzione del periodo di prova è quella di permettere al datore di lavoro di valutare la capacità professionale e la personalità del lavoratore per l'adempimento della prestazione, oltre che a consentire alle parti del rapporto di lavoro di verificarne la reciproca convenienza. La valutazione negativa delle capacità del lavoratore, dunque, può basarsi anche su comportamenti che abbiano un rilievo disciplinare. Se ad esempio una guardia giurata non si presenta il primo giorno di lavoro, rendendosi irreperibile senza giustificare la propria assenza, darà prova di negligenza e di mancanza della professionalità necessaria per svolgere il compito di guardia presso un istituto di credito, facendo venir meno nel datore di lavoro l'affidamento nel futuro corretto e puntuale adempimento delle prestazioni (Tribunale di Milano, sentenza 8 marzo 2013, giudice Casella).

Se invece il patto di prova è riconosciuto illegittimo, il recesso dovrà essere valutato secondo le regole generali. Quindi, nel caso in cui il lavoratore si sia allontanato dal posto di lavoro prima della fine del servizio, senza formale autorizzazione, la cessazione del rapporto dovrà seguire le regole del licenziamento disciplinare. La natura disciplinare impone l'adozione delle garanzie procedimentali dettate dall'articolo 7 della legge 300/70: in particolare, la preventiva contestazione scritta degli addebiti (Tribunale di Roma, ordinanza 19 dicembre 2012, giudice Armone).

In sostanza, non indicare i motivi del recesso con una formale comunicazione, in caso di patto di prova illegittimo, potrebbe esporre i datori di lavoro all'applicazione della tutela reale (articolo 18 dello statuto dei lavoratori) o obbligatoria (articolo 8 della legge 604/66), con reintegra del lavoratore o pagamento dell'indennità risarcitoria e anche dell'indennità di preavviso.

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