Rapporti di lavoro

Anche il dipendente deve indicare soluzioni alternative

di Aldo Bottini

L'obbligo di repêchage, tema imprescindibile nella valutazione della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, è frutto di costruzione giurisprudenziale.
La definizione di giustificato motivo oggettivo, come si sa, sta nell'articolo 3 della legge 604/66 ed è piuttosto generica (“ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”). La nozione di giustificato motivo oggettivo è stata declinata dalla giurisprudenza, nel corso degli anni, come soppressione della posizione lavorativa conseguente ad interventi organizzativi, insindacabili da parte del giudice, che deve limitarsi ad accertarne l'effettività.

In più, la giurisprudenza ha imposto al datore di lavoro l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari (quali ad esempio il non aver effettuato nuove assunzioni per posizioni analoghe dopo il licenziamento), l'impossibilità di operare il repêchage, l'impossibilità cioè di un utilizzo del lavoratore in una posizione diversa da quella soppressa.

Sul punto ci si è trovati però di fronte al problema di conciliare il principio secondo cui l'onere probatorio in materia di licenziamento grava ex lege sul datore di lavoro con l'evidente difficoltà per quest'ultimo di fornire la prova di una circostanza negativa. La soluzione elaborata dalla giurisprudenza più recente della Cassazione (si vedano da ultimo le sentenze 4920 e 16484 del 2014) consiste nel richiedere al lavoratore che impugni il licenziamento un onere di collaborazione nell'individuare possibili posizioni dove avrebbe potuto essere ricollocato.

In altre parole, il lavoratore non può limitarsi ad affermare genericamente la possibilità di una sua ricollocazione, ma deve allegare nel ricorso elementi utili ad individuare l'esistenza di posizioni alternative alle quali avrebbe potuto essere utilmente assegnato. A fronte di ciò, scatta l'onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità del lavoratore in tali posizioni.

Una soluzione tutto sommato pragmatica, che, superando la rigidità di una applicazione meccanica dell'onere probatorio, riconosce che la concreta possibilità di un diverso utilizzo del lavoratore può emergere solo nel contraddittorio delle parti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©