Rapporti di lavoro

Se il licenziamento è discriminatorio non si perde il posto - Risarcimento per i mesi di lavoro persi

di Aldo Bottini

I licenziamenti nulli e discriminatori continueranno a essere sanzionati con la reintegrazione, anche per i lavoratori assunti con il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. La legge delega sul punto è chiara: la discriminazione e la nullità costituiscono una delle (due) limitate ipotesi in cui il diritto alla reintegrazione deve rimanere.

Le norme di riferimento

Il decreto, coerentemente con la delega, dispone quindi che il giudice ordini la reintegrazione del lavoratore quando ravvisi «la nullità del licenziamento perché discriminatorio ovvero riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge», indipendentemente dal motivo formalmente addotto. Non è stato necessario identificare il licenziamento discriminatorio in quanto la relativa definizione è già presente nell’ordinamento. L’articolo 3 della legge 108/1990 definisce il licenziamento discriminatorio attraverso il rinvio ad altre due norme specifiche. La prima è l’articolo 4 della legge 604/1966 (licenziamento determinato «da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali»). La seconda è l’articolo 15 dello statuto del lavoratori, così come integrato da disposizioni successive che ne hanno esteso la portata (oltre alla affiliazione e attività sindacale, «discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali»).

Gravidanza e matrimonio

L’elencazione dei fattori in relazione ai quali non sono consentiti trattamenti differenziati (e che quindi a maggior ragione non possono costituire motivo che determina il licenziamento) è frutto dell’attuazione della normativa anti-discriminatoria europea, che individua anch’essa in maniera precisa le situazioni in relazione alle quali vige il divieto di discriminazione. Al licenziamento discriminatorio è equiparato, quanto ai rimedi applicabili, quello «riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge». L’espressione utilizzata («espressamente previsti») consente di ritenere tale equiparazione sostanzialmente limitata al licenziamento delle lavoratrici dall’inizio della gravidanza fino al compimento del primo anno di età del bambino (articolo 54 del Dlgs 151/2001) e al licenziamento per causa di matrimonio, che si presume tale quando sia intimato nel periodo dalla richiesta delle pubblicazioni a un anno dopo la celebrazione (articolo 35 del Dlgs 198/2006). Si tratta dei due casi in cui la nullità è espressamente comminata dalla legge quale sanzione per la violazione dello specifico divieto di licenziamento nella situazione protetta.

Nulla cambia anche per il risarcimento del danno che accompagna la reintegrazione: tutte le mensilità dal licenziamento alla reintegrazione, dedotto l’aliunde perceptum, senza massimale e con il minimo di cinque, oltre al versamento dei contributi previdenziali per il medesimo periodo.

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