Rapporti di lavoro

I vizi del licenziamento nello Statuto dei Lavoratori

di Alberto Bosco

Il licenziamento è inefficace se il datore, pur comunicando il recesso per iscritto, omette di specificare i motivi su cui esso si fonda nella lettera consegnata (o inviata) al lavoratore.
L'articolo 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300, contempla però altre due ipotesi di inefficacia del recesso disciplinare o per giustificato motivo oggettivo. Va ricordato che siamo nel regime dell'articolo 18, e quindi quanto si dirà vale solo se il datore: a) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale è avvenuto il licenziamento occupa più di 15 lavoratori, o più di 5 se si tratta di imprenditore agricolo; b) nell'ambito dello stesso comune ne occupa più di 15 (e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale ne occupa più di 5), anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti; e c) in ogni caso se occupa più di 60 dipendenti.
Ebbene, a condizione che il licenziamento sia giudicato legittimo, posto che nel caso contrario scatterebbero le più consistenti tutele previste nelle diverse ipotesi, è possibile che, oltre per il difetto di motivazione, il recesso sia dichiarato inefficace anche nei seguenti casi:
a) violazione della procedura di cui all'articolo 7 della legge n. 300/1970, ossia ove si sia proceduto a un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo senza osservare la procedura disciplinare (addebito del fatto in forma scritta in primis);
b) violazione della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604.
Tale ultima norma, nel testo sostituito dalla Riforma Fornero, prevede che il recesso per giustificato motivo oggettivo, ove disposto da un datore avente i requisiti dimensionali ex art. 18, co. 8, della legge n. 300/1970, deve essere preceduto da una comunicazione alla DTL del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e a lui trasmessa per conoscenza. Nella missiva, il datore deve dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo, indicandone i motivi. Giova ricordare che il Ministero si è espresso nel senso di ritenere possibile che le parti stabiliscano in sede sindacale, mediante un accordo transattivo, che il lavoratore rinunci a che sia effettuata la procedura in DTL e a impugnare il recesso (Min. Lav., Nota 22 gennaio 2014, n. 1). Lo stesso Dicastero ha anche precisato che, se le parti hanno già raggiunto un accordo in sede sindacale, possono ugualmente presentarsi in DTL per la sua ratifica, in tal caso, però, il funzionario lo prenderà in considerazione espletando non solo una funzione notarile ma operando anche un'attenta verifica del suo contenuto (Min. Lav., Lett. circ. 22 aprile 2013).
In tutte e tre le ipotesi accennate, salvo quanto precisato per la procedura in DTL, l'articolo 18, co. 6, dispone che, se il recesso è legittimo, il giudice dichiara risolto il rapporto con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa, tra 6 e 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.
Da ultimo, ricordiamo che nello schema di D.Lgs. attuativo del Jobs Act, per i nuovi assunti con contratto a tutele crescenti, nonché per tutti i dipendenti (anche quelli già in forza) nel caso in cui il datore, con tali assunzioni, integri il requisito occupazionale di cui all'articolo 18, co. 8 (superando quindi quota 15 o 60 lavoratori), si dispone che non si applica la procedura ex art. 7 della legge n. 604/1966 in caso di giustificato motivo. Lo stesso provvedimento gradua in maniera differente, la sanzione di cui sopra, stabilendola in 1 mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità (gli importi sono dimezzati, e con un massimo di 6 mensilità, per i datori di minori dimensioni).

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