Rapporti di lavoro

Rischio contenzioso sulle tutele crescenti

di Gabriele Fava

Il Jobs Act compie un grosso passo in avanti, che dovrebbe aiutare l'occupazione e, di concerto, la competitività delle imprese. In primis, con l'abolizione del rito Fornero, che rappresentava un'inutile duplicazione di tempi e costi di giustizia e che andava contro i criteri e i principi di certezza del giudizio. In secundis, l'introduzione dell'offerta conciliativa costituirà un utile strumento (recepito dalla prassi) per avvicinare le parti ed evitare il contenzioso. E ancora, il riordino delle tipologie contrattuali con relativa eliminazione di collaborazioni coordinate e continuative, job sharing, associazione in partecipazione, garantirà maggiore facilità nell'assunzione di nuove risorse con contratto a tempo indeterminato e consentirà di smascherare le finte partite Iva e i contratti a progetto.

Parallelamente, con il decreto Poletti è stato sdoganato – seppur nel tetto massimo temporale dei 36 mesi – il contratto a tempo determinato, per il quale non è più necessaria la previsione della causale giustificatrice e per il quale sono possibili sino a cinque proroghe. Ciò consentirà senz'altro una maggiore flessibilità in ingresso delle risorse all'interno delle aziende. L'intento primario del Jobs act di promuovere la flessibilità in entrata e il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro viene attuata anche mediante la concessione dell'esonero contributivo per un periodo di 36 mesi per le assunzioni con contratto a tempo indeterminato effettuate entro il 31 dicembre 2015 (legge di stabilità 2015). La riduzione del cuneo fiscale avrà certamente l'effetto di aumentare le assunzioni con contratto a tempo indeterminato nel corso del 2015, ma cosa accadrà al termine del triennio di esonero contributivo ai dipendenti assunti con tale agevolazione che graveranno, poi, a costo pieno sull'azienda? Aumenteranno notevolmente anche le procedure di licenziamenti collettivi alla fine di questo triennio?

Residuano però anche alcune perplessità circa l'idoneità dell'attuale riforma del lavoro di raggiungere effettivamente gli obiettivi che si prefiggeva. Tra le possibili e immediate conseguenze connesse all'introduzione del contratto di lavoro a tutele crescenti potrebbe esserci la creazione di un dualismo di categorie di lavoratori, quelli che soggiacciono alla nuova disciplina e coloro ai quali continuerà ad applicarsi la vecchia formulazione dell'articolo 18 della legge 300/1970 (legge 92/2012). Premesso che ciò può astrattamente porre seri dubbi circa la violazione dell'articolo 3 della Costituzione italiana, dovendosi applicare - a lavoratori inseriti nella medesima struttura organizzativa - una necessaria disparità di trattamento perpetrata sulla base della data di assunzione dei medesimi, la coesistenza di tale dualismo di categorie di lavoratori farà sorgere l'esigenza di stipulare accordi di armonizzazione (con le rappresentanze sindacali) volti a semplificare e omogeneizzare il più possibile la gestione interna del personale (ed i relativi costi).

Del resto, le imprese attualmente soggette a tutela obbligatoria, ove dovessero procedere a nuove assunzioni che comportino l'innalzamento della base occupazionale sopra i 15 dipendenti, applicherebbero a tutti i dipendenti (anche assunti prima dell'entrata in vigore del decreto attuativo, con la sola esclusione dei dirigenti) la nuova disciplina del contratto a tutele crescenti (sia sotto il profilo normativo che economico). Alla luce di ciò, converrà davvero superare la soglia dei 15 dipendenti?

Il decreto attuativo in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti estende espressamente l'applicazione delle disposizioni in esso contenute anche nei casi di “conversione” - successiva all'entrata in vigore del decreto - di contratti a tempo determinato o di apprendistato a tempo indeterminato. Omesso ogni commento sull'infelice riferimento alla conversione (anziché prosecuzione) del contratto di apprendistato inserita al comma 2 dell'articolo 1, ci si domanda se il regime del contratto a tutele crescenti si applichi anche ai lavoratori reintegrati in azienda all'esito di un procedimento giudiziale terminato con sentenza che disponga la conversione giudiziale dei predetti rapporti oppure no. Tale aspetto non viene esaminato nei decreti attuativi.

Le modifiche apportate in materia di licenziamenti se da un lato diminuiranno il contenzioso, dall'altro lo innalzeranno per i licenziamenti asseritamente discriminatori e illeciti, nonché per quelli disciplinari qualora venisse dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale posto alla base dei medesimi, essendo questi - nell'assetto normativo odierno - gli unici strumenti a disposizione dei lavoratori per ottenere la reintegra nel luogo di lavoro.

Generiche e poco incisive sono, poi, le previsioni relative allo ius variandi del datore di lavoro. Viene riconosciuta la possibilità di modificare le mansioni lavorative, il livello di inquadramento e la relativa retribuzione del lavoratore. La strada intrapresa dalle riforme è quella giusta, visto che il demansionamento è da intendere quale opportunità di lavoro, ma certamente serviranno alcuni correttivi. Resta anche da comprendere cosa debba intendersi per “modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore” e che legittimerebbero il datore all'adibizione del lavoratore a mansioni inferiore e cosa debba intendersi per “ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore” demandate alla contrattazione collettiva. Non si comprende, poi, quale sia il carattere di novità di tale previsione considerato che, tale tipo di accordi erano già consolidati nelle prassi aziendali ed erano e sono, tra l'altro, sempre stati avallati da consolidata giurisprudenza.

Censurabili, però, risultano alcune scelte linguistiche nebulose inserite nei decreti attuativi. Tra queste, il richiamo – in caso di condanna del datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria per illegittimo e/o nullo e/o inefficace licenziamento – all'“ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto”. Si rendono necessari, sin da ora, chiarimenti specifici rispetto alle modalità di calcolo di tale indennità risarcitoria e, soprattutto, rispetto al significato del termine “ultima”.

Dal punto di vista delle relazioni industriali, i decreti attuativi in esame riconoscono un ruolo centrale alla contrattazione collettiva a cui vengono demandati numerosi e ampi poteri normativi; ciò potrebbe portare a un inevitabile inasprimento dei rapporti con i sindacati, i quali diverrebbero detentori di grande potere contrattuale da utilizzare come strumento di lotta contro i datori di lavoro

Speriamo, in un'ottica di riforma e rimodernamento, che gli interventi legislativi riguardino anche i cosiddetti controlli a distanza che sono senz'altro da riformulare e rinormare, in considerazione delle mutate esigenze aziendali e al nuovo contesto tecnologico in cui operano le aziende.

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