Rapporti di lavoro

Uso improprio della mail aziendale: la policy può essere di aiuto

di Rossella Schiavone

Recentemente la Corte di cassazione, con sentenza 22353 del 2015, si è occupata di un licenziamento disciplinare intimato a causa di un uso improprio di strumenti di lavoro aziendali e, più nello specifico, del personal computer in dotazione, delle reti informatiche aziendali e della casella di posta elettronica.

Sulla scia di tale sentenza, la Fondazione studi dei consulenti del lavoro ha pubblicato il parere numero 2 del 10 novembre 2015, in cui ha precisato che per uso improprio della casella di posta elettronica aziendale si intende l'utilizzo della stessa per motivi estranei alle mansioni lavorative assegnate al dipendente.

L'ipotesi più ricorrente è l'utilizzo della mail aziendale per effettuare comunicazioni o intrattenere rapporti di natura personali, non legati, neanche occasionalmente, con l'esercizio dell'attività di lavoro.

La Fondazione studi evidenzia che, secondo la Suprema corte, l'utilizzo della casella di posta aziendale per fini personali non legittima, di per sé, il ricorso al licenziamento per giusta causa, in base all’articolo 2119 del codice civile, in quanto sono necessari elementi addizionali, in grado di qualificare in termini di maggiore intensità la gravità del comportamento del dipendente, al punto da legittimare un'interruzione in tronco del rapporto di lavoro, come nel caso di sussistenza di grave danno conseguente all'interruzione ingiustificata della prestazione lavorativa o di utilizzo della casella a fini personali ed illeciti, come la commissione di un reato.

A tal proposito i consulenti, richiamandosi alla giurisprudenza prevalente (Cassazione, sentenze 6222/2014, 13353/2011, 19053/2005) sottolineano che, in tutti i casi in cui la condotta del dipendente sia consistita nell'utilizzo della posta aziendale senza produzione di un danno serio e quantificabile, i giudici hanno individuato sempre la sanzione conservativa come la più idonea, perché rispettosa dei principi di proporzionalità e sufficienza.

Nel suo parere la Fondazione esprime tutta la sua perplessità relativamente all'orientamento giurisprudenziale che «finisce, infatti, per legittimare l'azione di quel dipendente che, esplicitamente e coscientemente, contravvenendo a specifiche indicazioni precauzionali del datore di lavoro, utilizzi a fini personali strumenti informatici di cui dispone in ragione della posizione professionale ricoperta in azienda».

In materia è opportuno ricordare che il Garante per la privacy, nelle “Linee guida per posta elettronica ed internet nel rapporto di lavoro” ha suggerito l'adozione di un disciplinare interno da redigere in modo chiaro e senza formule generiche, da pubblicizzare adeguatamente (verso i singoli lavoratori, nella rete interna, mediante affissioni sui luoghi di lavoro con modalità analoghe a quelle previste dall'articolo 7 dello statuto dei lavoratori) e da sottoporre ad aggiornamento periodico: la cosiddetta “policy aziendale”.

Nella policy interna va specificato, tra le altre cose:
- in quale misura sia consentito utilizzare anche per ragioni personali servizi di posta elettronica, anche solo da determinate caselle oppure ricorrendo a sistemi di webmail, indicandone le modalità e l'arco temporale di utilizzo (ad esempio, fuori dall'orario di lavoro o durante le pause, o consentendone un uso moderato anche nel tempo di lavoro);
- se, e in quale misura, il datore di lavoro si riservi di effettuare controlli in conformità alla legge, anche saltuari od occasionali, indicando le ragioni legittime per cui verrebbero effettuati e le relative modalità (precisando se, in caso di abusi singoli o reiterati, vengano inoltrati preventivi avvisi collettivi o individuali ed effettuati controlli nominativi o su singoli dispositivi e postazioni);
- quali conseguenze, anche di tipo disciplinare, il datore di lavoro si riservi di trarre qualora constati che la posta elettronica sia utilizzata indebitamente.

Inoltre, sempre con riferimento specifico all'impiego della posta elettronica nel contesto lavorativo e in ragione della veste esteriore attribuita all'indirizzo di posta elettronica nei singoli casi, per il Garante la mancata esplicitazione di una policy può determinare anche una legittima aspettativa del lavoratore, o di terzi, di confidenzialità rispetto ad alcune forme di comunicazione.

Per questo motivo al datore di lavoro viene suggerita l'adozione di accorgimenti per prevenire eventuali trattamenti in violazione dei principi di pertinenza e non eccedenza fra cui:
- rendere disponibili indirizzi di posta elettronica condivisi tra più lavoratori (ad esempio, info@ente.it, ufficiovendite@ente.it, ufficioreclami@società.com, ecc.), eventualmente affiancandoli a quelli individuali (ad esempio, m.rossi@ente.it, rossi@società.com, mario.rossi@società.it);
- valutare la possibilità di attribuire al lavoratore un diverso indirizzo destinato a uso privato;
- far sì che i messaggi di posta elettronica contengano un avvertimento ai destinatari nel quale sia dichiarata l'eventuale natura non personale dei messaggi stessi, precisando se le risposte potranno essere conosciute nell'organizzazione di appartenenza del mittente e con eventuale rinvio alla policy datoriale.

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