Rapporti di lavoro

Rigopiano, spunti di riflessione sul cambio di mansioni

di Sergio Barozzi

Una telefonata di allarme che non è stata presa sul serio, come rivelato dalle indagini, sembra essere uno degli elementi che ha aggravato il disastro dell'hotel Rigopiano. Ma che valore ha avuto quella telefonata sotto il profilo della responsabilità del lavoratore e dell'azienda? Gli eventi drammatici della cronaca ci danno lo spunto per ragionare su un tema particolarmente delicato, alla luce delle ancora recenti novità del Jobs Act, e per trarre alcune importanti indicazioni in caso di mutamento delle mansioni del lavoratore.
Dalle informazioni raccolte sui quotidiani emergerebbe che la persona che ha ricevuto quella telefonata di allarme non fosse, normalmente, addetta alla gestione delle emergenze ma che si trattasse di un'impiegata amministrativa del settore finanziario della prefettura, trasferita al centralino per accogliere le chiamate di soccorso in via provvisoria a fronte dell'eccezionalità della situazione. L'averla adibita a mansioni diverse ha portato a conseguenze che potrebbero essere gravi.

Il primo aspetto che emerge è quello della responsabilità verso terzi dell'impresa (in questo caso la prefettura) per avere assegnato un lavoratore non idoneo a svolgere mansioni potenzialmente pericolose o, produttrici di gravi danni. La questione assume rilevanza anche sotto il profilo assicurativo. La polizza in vigore dovrebbe coprire i danni verso terzi provocati da dipendenti che svolgono mansioni completamente al di fuori di quelle per i quali sono stati formati. Dunque un veloce controllo sulle polizze assicurative in essere in azienda vale certamente la pena di farlo.

Un altro problema è quello del rapporto fra azienda e lavoratore. Fino a oggi la Cassazione ha affermato che il diritto del lavoratore di astenersi della prestazione lavorativa in caso di dimensionamento è legittimo solo quando lo svolgimento delle nuove mansioni possa provocare gravi conseguenze per la salute e la sicurezza lavoratore stesso (per tutte la recente sentenza di Cassazione civile, sez. lav., 5 maggio 2016, n. 9060). Ma quanto avvenuto nella sala emergenze della prefettura di Pescara fa sorgere immediatamente il quesito se il lavoratore possa rifiutarsi di svolgere una mansione quando, per effetto della propria incompetenza, potrebbero derivarne conseguenze nei confronti di terzi, siano essi colleghi di lavoro o estranei all'azienda. La risposta a nostro avviso non può che essere positiva.

Peraltro con l'assegnazione di lavori potenzialmente pericolosi si sposta anche la responsabilità verso terzi su chi ha provveduto a dare l'ordine. Si potrebbe perfino ipotizzare che la responsabilità ricada interamente su quest'ultimo, essendo il lavoratore subordinato tenuto ad eseguire l'ordine impartitogli. E ciò è particolarmente vero ogni qualvolta dovesse emergere la difficoltà per il lavoratore di fare una precisa analisi dei potenziali rischi connessi al nuovo compito che gli viene affidato.

Ulteriore aspetto da valutare è quello dei costi che il lavoratore, adibito a mansioni non proprie e per le quali non è stato correttamente formato, dovrà sostenere a seguito dell'indagine penale. In un caso come quello dell'albergo abruzzese le indagini penali si annunciano particolarmente difficili e costose. Pensiamo soltanto le perizie che saranno necessariamente richieste sia dai PM, sia dalla Corte qualora si dovesse arrivare al dibattimento. Un processo complesso è inevitabilmente costoso. Chi rimborserà il lavoratore dei costi legali che dovrà affrontare per difendersi correttamente? E sotto il profilo della sofferenza psicofisica, inevitabilmente connessa con un processo di una tale importanza e visibilità mediatica, potrà l'azienda essere chiamata a risponderne? Anche in questo caso la risposta negativa non è affatto scontata.

È pur vero che la situazione della sala emergenze della prefettura di Pescara non è la condizione tipica in cui operano le aziende e che una simile complessità e pericolosità dell'attività è in qualche modo anomala, ma la vicenda insegna che in caso di cambio di mansioni e di assegnazione del lavoratore a compiti non propri e per i quali non è stato correttamente formato è necessario prendere in considerazione tutti gli aspetti e i rischi connessi con la decisione, e non limitarsi a una visione strettamente giuslavorista.

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