Rapporti di lavoro

Tagli al cuneo fiscale, come si guadagna di più

di Antonino Cannioto e Giuseppe Maccarone

La riduzione del cuneo fiscale - la differenza tra il costo del lavoro e quanto percepito dal lavoratore - è l’impegno del Governo per la prossima legge di Bilancio. Le ipotesi allo studio devono , però, fare i conti con l’impatto sulla finanza pubblica e con le possibili ricadute sulla crescita.

Le ipotesi
Il Governo è intenzionato ad agire sulla riduzione dei contributi, come ribadito ancora ieri dal viceministro all’Economia, Enrico Morando. Non sembra, dunque, trovare fortuna, per ora, la soluzione caldeggiata dall’ex vice ministro Enrico Zanetti, che invece sollecita una riduzione del cuneo agendo sull’Irpef. Sul tavolo del Governo, secondo le prime anticipazioni, ci sono due ipotesi, articolate in una serie di variabili: la riduzione dei contributi di 3-5 punti o la riproposizione della decontribuzione totale, triennale, per il primo impiego.

La prima ipotesi, il taglio contributivo di 3-5 punti dovrebbe riguardare i neoassunti, poiché una riduzione generalizzata comporterebbe un onere finanziario probabilmente non sostenibile per l’Erario. Lo sconto sui contributi dovrebbe essere ripartito tra lavoratore e azienda: si valuta di spalmare a metà la riduzione, oppure in misura differente - un terzo al lavoratore e due terzi all’impresa - così da incentivare gli investimenti produttivi.

L’ipotesi di decontribuzione totale, invece, andrebbe nella direzione della riproposizione della “prima manovra” Renzi, che ha però mostrato di esaurire gli effetti benefici sull’occupazione con il venir meno dell’incentivo. Si dovrebbe dunque pianificare l’agevolazione per evitare l’effetto “sboom”.

Il quadro
Va in primis valutata la sfera di operatività dell’intervento (solo settore privato ovvero anche quello pubblico). In secondo luogo, occorre comprendere se la manovra si intende strutturale e, come auspicabile, a carattere generale. Infatti, anche se la riduzione venisse subordinata al rispetto di determinati criteri premianti di accesso, sarebbe preferibile che ne fossero interessati tutti i settori produttivi.

Va osservato che il possibile intervento sulle aliquote contributive – che non avrebbe effetti negativi sulle casse dell’Inps, in conseguenza della fiscalizzazione dei relativi oneri - si delinea comunque complesso. Infatti, nei diversi settori le aliquote sono di differente misura e non omogenee; alcune di esse, peraltro, sono state già integralmente abbattute da precedenti interventi di analogo tenore (leggi 388/2000 e 266/2005).

Se si escludesse dall’applicazione la contribuzione pensionistica, il taglio non potrebbe che interessare le forme di contribuzione per il finanziamento delle prestazioni temporanee (le cosiddette “contribuzioni minori”). Si ritiene che possano essere lasciati, in ogni caso, fuori dall’intervento:
• il contributo di finanziamento del Fondo di garanzia (in genere 0,20%), già oggetto di misure compensative in favore della previdenza complementare, del Fondo di Tesoreria e del Tfr in busta paga;
• il contributo dello 0,30% per la formazione continua;
• il contributo di finanziamento ordinario della cassa integrazione, appena rimodulato dal decreto di riordino degli ammortizzatori sociali (decreto legislativo 148/15).

Queste, tuttavia, sono forme contributive integralmente a carico del datore di lavoro, in relazione alle quali il lavoratore non sostiene alcun costo.

Dovrebbe essere meno complicato - soprattutto se la riduzione dovesse essere ripartita tra le due componenti del rapporto (datore e dipendente) – agire in diminuzione della contribuzione pensionistica. Questa presenta un’aliquota abbastanza uniforme in tutti i settori del privato (in genere 33%) e comprende già al suo interno una distribuzione del relativo carico (23,81% azienda e 9,19% dipendente).

Va, tuttavia, evidenziato che il profilo della contribuzione pensionistica è quello più sensibile e di maggiore rilievo, anche in funzione delle aliquote di computo, e quindi una copertura puntuale dei costi appare imprescindibile.

Gli esempi
Negli esempi a fianco, riferiti a un lavoratore occupato in un’impresa industriale metalmeccanica, con oltre 50 dipendenti, si è stimata una riduzione di 3 e di 5 punti degli oneri contributivi.

Gli esempi proposti evidenziano una situazione in cui la contribuzione applicata dal datore di lavoro è in prima analisi intera: gli oneri contributi e fiscali a carico delle parti incidono in maniera significativa arrivando al 41,73 per cento. L’introduzione di una riduzione dell’aliquota contributiva del 5% suddivisa in egual misura tra datore e lavoratore realizzerebbe una diminuzione del gap pari al 2,42 per cento. Allo stesso modo, va notato che l’eventuale facilitazione agisce anche sulla forbice lordo/netto della busta paga, con una riduzione dell’1,65 per cento. La suddivisione dello sconto al 50% appare più conveniente rispetto all’eventuale ripartizione di due terzi e un terzo.

Le ipotesi

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