L'esperto rispondeRapporti di lavoro

Il bonus 80 euro escluso dalla retribuzione pignorabile

di Paolo Rossi

La domanda

In riferimento al Bonus 80 euro, per i dipendenti che hanno in corso dei pignoramenti, ai fini del calcolo della quota da trattenere il sostituto d’imposta deve considerare l’importo erogato a titolo di bonus? La normativa prevede che il bonus non concorra alla formazione del reddito; ma la normativa sui pignoramenti prevede “somme dovute a titolo di stipendio/salario” da calcolarsi sulla retribuzione netta. Si potrebbe quindi ritenere che – essendo di fatto una restituzione di imposta – faccia parte della retribuzione netta e come tale pignorabile?

Ai sensi dell’art. 545 c.p.c. le somme dovute da privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito. Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause suddette non può estendersi oltre la metà dell’ammontare della retribuzione. Ai lavoratori dell’impiego privato, inoltre, sono applicabili anche le disposizioni del DPR 5 gennaio 1950, n. 180. L’art. 2 di tale norma, recante “Eccezioni alla insequestrabilità e all'impignorabilità”, sancisce altresì che gli stipendi, i salari e le retribuzioni equivalenti, nonché le pensioni, le indennità sostitutive della pensione e gli altri assegni di quiescenza, sono soggetti a sequestro e a pignoramento fino a concorrenza del limite legale sopra delineato “al netto di ritenute”, sia fiscali che previdenziali. Venendo al punto del quesito, è fondamentale stabile, a parere di chi scrive, se il credito Irpef di cui all’art. 13, comma 1-bis, del TUIR (cosiddetto bonus degli 80 euro) concorra alla determinazione dell’Irpef netta al pari di ogni altra detrazione d’imposta o se, al contrario, sia estraneo a tale calcolo. Dal testo del citato comma 1-bis si evince in modo piuttosto chiaro che trattasi piuttosto di un credito d’imposta (non di una detrazione d’imposta), subordinato alla produzione di un reddito imponibile Irpef collocato tra una fascia minima e una fascia massima. Letteralmente la norma prevede che “Qualora l'imposta lorda determinata sui redditi di cui agli articoli 49, con esclusione di quelli indicati nel comma 2, lettera a), e 50, comma 1, lettere a), b), c), c-bis), d), h-bis) e l), sia di importo superiore a quello della detrazione spettante ai sensi del comma 1, compete un credito rapportato al periodo di lavoro nell'anno, che non concorre alla formazione del reddito, di importo pari a: 1) 960 euro, se il reddito complessivo non è superiore a 24.000 euro; 2) 960 euro, se il reddito complessivo è superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro. Il credito spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 26.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l'importo di 2.000 euro”. Dunque non facendo parte il bonus di 80 euro del meccanismo di determinazione della “ritenuta” fiscale, ma agganciato a questa solo ai fini della sua spettanza in caso di redditi molto vicini alla soglia della no tax area, si ritiene che non debba partecipare a determinare la retribuzione “netta” sulla quale calcolare la quota pignorabile da trasferire ai creditori del lavoratore.

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