Rapporti di lavoro

Smart working, test sulle vecchie intese

di Francesca Barbieri

L’ultima grande azienda in ordine di tempo a renderlo strutturale è stata Enel, che nei giorni scorsi ha anche allargato la platea degli interessati da 500 a 7mila, ai quali sarà offerta la possibilità di lavorare fuori ufficio per un giorno alla settimana. E ora che lo Statuto del lavoro autonomo arriva alle battute finali per l’approvazione in Parlamento, dopo oltre un anno dalla presentazione del disegno di legge (avvenuta l’8 febbraio 2016), lo smart working potrebbe prendere slancio con una nuova cornice di regole, ma anche con alcuni aspetti da chiarire.

Gli smart worker in Italia

La situazione attuale vede il 30% delle grandi società che nel 2016 ha realizzato progetti strutturati di lavoro agile (secondo l’osservatorio della School of management del Politecnico di Milano), mentre la situazione è ben diversa nelle Pmi, dove la percentuale è ferma al 5%, anche se è in aumento il numero di quelle interessate a introdurlo in futuro (quasi una su cinque).

In tutto, si stimano quasi 300mila lavoratori attualmente coinvolti dallo smart working.

Ma cosa accade alle intese siglate prima dell’entrata in vigore dello Statuto, che potrebbe essere “licenziato” a breve dal Senato? «Restano valide - risponde Maurizio Del Conte, giuslavorista autore del provvedimento e ora presidente dell’Anpal (Agenzia per le politiche attive) - purché in linea con le direttrici fissate dal disegno di legge. Viene sancito, per esempio, il principio di parità di trattamento normativo e retributivo, perché non si tratta di un contratto diverso, ma di una differente modalità di svolgere la prestazione all’interno dello stesso contratto. In base ai principi generali, non è consentito ridurre lo stipendio, a meno che non si passi a un part-time». Lo Statuto esclude, infatti, che il lavoro agile rappresenti una nuova categoria contrattuale, e lo distingue nettamente dal telelavoro: il primo si svolge «in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno», nel secondo invece l’attività lavorativa «viene regolarmente svolta fuori dai locali dell’azienda».

Possibili criticità

Non mancano però alcune criticità. Anche se le nuove regole danno ampio spazio alle intese tra le parti, è stata persa l’occasione di prevedere un periodo transitorio per evitare qualsiasi dubbio sul coordinamento tra lo Statuto e gli accordi sperimentali di smart working già siglati.

Visto che attualmente le esperienze di lavoro agile esistenti in azienda sono nella maggior parte dei casi affidate e definite dalla contrattazione collettiva, «sarebbe stato opportuno introdurre una clausola transitoria che faccia salva, almeno per qualche mese, la disciplina contenuta negli accordi collettivi» sottolineano da Confindustria.

La seconda tocca il tema della tutela e sicurezza sul lavoro e quello dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali. «Tutta la materia dello smart working è innovativa - sottolinea Guglielmo Loy, segretario confederale Uil - per questo il tema sicurezza al momento non ha un quadro normativo del tutto chiaro, ma servirà del tempo per definirlo meglio».

La novità principale del lavoro agile riguarda il venir meno - almeno in parte - del riferimento a un luogo di lavoro sul quale il “titolare” esercita gli obblighi e i controlli. Per questo motivo risulta molto difficile, in pratica, applicare la responsabilità datoriale in materia di sicurezza e prevenzione. Una questione che resta aperta: ora la palla passa al Governo che ha accolto un ordine del giorno che lo impegna a emanare una circolare sull’adattamento al lavoro agile delle disposizioni in materia di salute e sicurezza.

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