Rapporti di lavoro

Trasferte con contenzioso

di Enzo De Fusco

Le regole introdotte in tema di trasferta e trasfertista dal Dl 193/2016 (in vigore dal 3 dicembre 2016), sebbene contenute in una norma di interpretazione autentica, secondo la Cassazione dovrebbero trovare applicazione solo per il futuro. Tuttavia, l’ultima parola spetterà alle sezioni unite della Suprema corte.

La distinzione tra trasferta e trasfertista ha conosciuto nel tempo un percorso tormentato che ha generato molto contenzioso per le imprese. Forse, si tratta dell’unico punto debole di un’ottima riforma del reddito di lavoro dipendente che conserva sostanzialmente intatto il proprio impianto da 20 anni (Dlgs 314/1997).

Il problema in questione riguarda i lavoratori che si caratterizzano per svolgere la loro prestazione sostanzialmente sempre all’esterno dell’azienda e spesso anche fuori dal comune di riferimento. Si tratta dei manutentori, degli impiantisti, dei montatori, ma anche degli operai del settore edilizia adibiti ai cantieri. Un numero di addetti molto esteso ai quali normalmente le aziende riconoscono un importo aggiuntivo alla normale retribuzione per ogni giornata di prestazione.

L’aspetto centrale, che ha fatto discutere negli anni, riguarda proprio il trattamento fiscale e contributivo di queste somme, regolate in prevalenza dalle aziende con il più favorevole regime fiscale delle trasferte.

Il tema è stato affrontato sul piano amministrativo sia dal ministero del Lavoro (nota 8287/2008) sia dall’Inps (messaggio 27271/2008). Gli enti hanno cercato di chiarire che, in questi casi, se il datore di lavoro in sede di assunzione ha indicato nel contratto individuale una sede di lavoro e tale sede è stata pure comunicata agli organi amministrativi (comunicazione CO) allora il regime che trova applicazione è quello della trasferta. Ciò in quanto la volontà di prevedere una specifica sede di lavoro (che è prerogativa del datore di lavoro) è incompatibile con il regime del trasfertismo.

Questa posizione amministrativa, però, non ha convinto i giudici del lavoro che, in diverse sentenze, hanno fissato il principio secondo cui si applica il regime di trasfertista (e non della trasferta) ogni volta che la prestazione del lavoratore si caratterizza per essere svolta fuori dalla normale sede aziendale. E ciò vale indipendentemente dall’indicazione nel contratto individuale della sede fissa di lavoro o dalla continuità dell’erogazione della somma aggiuntiva. In altri termini i magistrati analizzano l’aspetto sostanziale della prestazione in luogo di quello formale.

Per questo motivo è intervenuta la norma di interpretazione autentica contenuta nell’articolo 7-bis del Dl 193/2016. Quest’ultima non fa altro che attribuire forza di legge agli stessi principi interpretativi già diffusi sul piano amministrativo dal ministero del Lavoro e dall’Inps.

Tuttavia, il 18 aprile 2017, la Cassazione (si veda il Sole 24 Ore del 19 aprile) analizzando la norma di interpretazione autentica ha precisato che «l’intervento del legislatore, ancorché autodefinitosi di interpretazione autentica...pare attribuire un significato che non poteva in alcun modo essere incluso nel novero dei significati possibili». In altre parole, secondo la Cassazione, la previsione dell’articolo 7-bis innova rispetto al passato e dunque non può avere effetto retroattivo.

La posizione, però, non è definitiva in quanto ora la parola dovrebbe passare alle sezioni unite per fornire un indirizzo uniforme sulla materia.

Nel frattempo cosa si fa? Le aziende hanno la certezza che l’attuale regime contenuto nell’articolo 7-bis può essere applicato a partire dalle prestazioni rese dal 3 dicembre 2016. Mentre, per eventuali contenziosi in atto, la possibilità di risolverlo con la norma di interpretazione autentica è molto incerta. Ovviamente, gli esiti molto dipenderanno dall’atteggiamento che la direzione generale dell’Inps indicherà di assumere agli uffici legali sul territorio.

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