Rapporti di lavoro

Senza le tariffe penalizzazione per i più giovani

di Walter Anedda

Un lavoratore dipendente (pubblico e privato) vede garantito il valore minimo del proprio stipendio da un contratto collettivo nazionale: egli sa quanto è la retribuzione minima riconosciuta e il suo datore di lavoro difficilmente si discosta dai valori tabellari previsti. Perché un professionista non deve, analogamente, poter contare su un corretto compenso di riferimento per la prestazione che egli eroga?

L’articolo 35 della Costituzione recita: «La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni» e il successivo ricorda che «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».

Qualcuno potrebbe obiettare che l’intendimento del costituente era quello di tutelare solo il lavoratore subordinato, considerato la parte debole del rapporto contrattuale, e non il lavoratore autonomo, ma tale lettura risulterebbe quantomeno anacronistica e non in linea con la realtà del mondo professionale.

L’abolizione delle tariffe (e soprattutto dei minimi tariffari), è stata motivata da una visione strettamente mercantilistica della professione, sorretta da una lettura strumentale della normativa comunitaria e idealizzata mediaticamente a una visione “privilegiata” del professionista medio. Tutto ciò nella convinzione dogmatica che la concorrenza economica (sul prezzo e non sulla qualità) fosse il principale elemento di tutela del consumatore. Consumatore che nel caso di molte attività professionali non corrisponde di certo al soggetto tutelato dalla normativa comunitaria, bensì a enti o aziende di natura pubblica o privata, la cui forza contrattuale è spesso (se non sempre) superiore a quella del professionista.

Ciò è comprovato dalla empirica verifica che la cancellazione delle tariffe ha avuto ben maggiore impatto sulla (bassissima) capacità contrattuale dei giovani rispetto a quella che studi avviati riescono ancora a esercitare grazie a una corretta affermazione qualitativa e alla indubbia rete di relazioni che si costruiscono nell’arco della attività professionale. In altri termini, la mancanza di tariffe di riferimento ha avuto soprattutto l’effetto di creare una corsa al ribasso tra i giovani professionisti a danno della qualità del servizio e generando un fenomeno di sotto proletarizzazione indotta, che trova causa nella fatale combinazione di esigenza di lavoro del neo professionista e posizione economica dominante del “committente”, sia esso pubblico o privato.

Aspetto quest’ultimo che trova ora una espressa norma di tutela nell’articolo 3 della legge n.81/2017 ( Jobs Act lavoro autonomo) che estende anche ai lavoratori autonomi le tutele previste nel caso di abuso di dipendenza economica.

Un passo importante questo che dovrebbe ancor di più aprire la strada verso la affermazione dell’equo compenso, in una logica di tutela della indipendenza economica, della qualità della prestazione e - mi si consenta - della dignità del lavoro svolto.

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