Rapporti di lavoro

Smart working, subordinazione soft

di Arturo Maresca

La nuova disciplina del lavoro agile (o smart working) – importante per gli aspetti applicativi, dimostrati dalla sua diffusione – ripropone anche una discussione di carattere generale relativamente alla nozione di subordinazione e alla funzione che essa assolve di criterio selettivo per l’attribuzione e la differenziazione delle tutele tra le varie forme di lavoro subordinato, autonomo o di collaborazione continuativa.

La discussione deve muovere dall’interazione della subordinazione con il lavoro agile la cui modalità di esecuzione comporta che la prestazione sia resa dal dipendente senza vincoli di orario o di luogo di lavoro.

In questo modo si realizza un vero e proprio capovolgimento del normale assetto del rapporto di lavoro quanto all’organizzazione del tempo (cioè alla sua collocazione, non alla quantità) e del luogo del lavoro non più rimessa al potere datoriale e neppure all’accordo tra le parti, bensì alle scelte unilaterali del dipendente.

Si potrebbe dire che in questo modo il lavoratore subordinato diventa più autonomo e ciò avviene proprio quando lo stesso legislatore impone l’applicazione delle tutele del lavoro subordinato alle collaborazioni continuative come conseguenza dell’esercizio del potere del committente di organizzare la prestazione del collaboratore quanto «ai tempi e al luogo di lavoro» (articolo 2, comma 1, del Dlgs 81/2015).

Quindi il lavoro subordinato diventa più autonomo e le collaborazioni autonome tendono a essere più subordinate. L’organizzazione del tempo e del luogo della prestazione assumono rilievo nell’individuazione della disciplina (quella del lavoro subordinato) applicabile al collaboratore autonomo quando a decidere in ordine a tale organizzazione è il committente, mentre non connotano più la posizione di subordinazione del dipendente che nel lavoro agile è padrone di lavorare dove e quando vuole.

Qui non interessa tanto indagare sulla coerenza complessiva del disegno del legislatore, ma piuttosto constatare che nelle aziende il lavoro viene svolto con modalità che possono essere anche molto diverse da quelle tipiche dell’organizzazione gerarchica dell’impresa descritta nel Codice civile all’articolo 2086 o dell’organizzazione tayloristica realizzata nella fabbrica fordista con la parcellizzazione del lavoro e la standardizzazione dei tempi di esecuzione.

Il dato normativo, quindi, evidenzia che anche il legislatore ha dovuto prendere atto del cambiamento morfologico del lavoro, più responsabilizzato e partecipe anche in ordine agli obiettivi (espressamente evocati dal legislatore nella definizione del lavoro agile) e ai risultati della prestazione.

Di fronte a questo cambiamento, la domanda da porsi è se sono ormai maturi i tempi per riflettere concretamente sui criteri legali che diversificano le tutele dovute a chi lavora, che oggi sono ancorati alla subordinazione in primo luogo e, poi, allo status di dirigente e alla dimensione dell’organico dei dipendenti impiegati nell’impresa.

Riorganizzare le protezioni del lavoro significa adeguare gli assetti attuali al principio costituzionale (articolo 35) che impegna il legislatore a tutelare il lavoro «in tutte le sue forme ed applicazioni».

Il legislatore si è già mosso in questa direzione con il lavoro autonomo, ma ciò è avvenuto mantenendo la distinzione tradizionale che distingue il campo dell’attività autonoma da quella subordinata, mentre la domanda concreta alla quale occorre rispondere è se, invece, sia opportuno fare riferimento ai fabbisogni di tutela diversificati in relazione, per fare solo qualche esempio, al reddito derivante dal lavoro o alla scarsa capacità di decidere sulle condizioni e modalità del proprio lavoro o all’intenzione di impegnarsi in un lavoro solo occasionale.

In questa prospettiva la vituperata (ma assolutamente necessaria) disciplina del lavoro occasionale offre un modello di riferimento: in questo caso il legislatore accorda le tutele (economiche, previdenziali, relative alla sicurezza, ai riposi) ritenute necessarie in relazione non già alla natura autonoma o subordinata del lavoro, ma alla sua dimensione meramente occasionale.

Una ricognizione come quella a cui si è accennato dovrebbe portare a verificare se le tutele attuali sono sovradimensionate o sottodimensionate secondo una taratura diversa da quella fin qui usata.

Certamente lasciare ciò che si conosce (gli assetti attuali del sistema delle tutele) per il nuovo e l’incognita che esso rappresenta richiede un coraggio al limite della temerarietà e, quindi, procedere con prudenza e cautela costituisce una regola doverosa, finché non diventi un alibi per puntare all’immobilismo di fronte al cambiamento. Come accadrebbe se di fronte al lavoro agile voluto dal legislatore, ci si ingegnasse per farlo regredire a una forma del vecchio telelavoro.

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