Rapporti di lavoro

Il paradosso tutto italiano della pensione senza lavoro

di Claudio Tucci

Ancora una volta i dati parlano chiaro, più di tante parole: per i ragazzi, purtroppo, il lavoro non c’è. Ed è paradossale che nel frattempo la politica dibatta di una pensione minima per i giovani stessi.

Vediamoli allora questi numeri: appena 47mila occupati in più in un anno tra gli under25, addirittura un calo di 8mila unità nella fascia d’età fino a 34 anni; il mezzo (per non dire intero) flop del bonus occupazionale legato a Garanzia giovani; il tasso di disoccupazione che risale al 35,5 per cento. A fronte di questo l’attenzione di governo e sindacati è focalizzata sulla necessità di assicurare una pensione minima di garanzia di almeno 650 euro ai giovani che dovranno, comunque, avere un minimo di contribuzione maturata. Ma senza un impiego, e per di più stabile, come è possibile versare all’Inps i contributi necessari? Ecco quindi che il “problema lavoro” dovrebbe essere affrontato dal governo prima del “problema pensione”.

E ciò è tanto più vero (e urgente) se, analizzando nel dettaglio i dati sull’occupazione diffusi ieri, si mettono a confronto le performance degli under25 con quelle dei lavoratori over50. Ebbene: in primo luogo, si può vedere come il tasso di occupazione dei giovani si fermi a un modesto 17,2%. Per i “senior” siamo al 59,2%; un dato che si spiega essenzialmente con le novità introdotte dalla riforma Fornero che ha allungato l’età pensionabile (un interessante elaborazione condotta da Adapt ha conteggiato tra il 2013 e oggi, al netto della componente demografica, una crescita degli over50 di 513mila unità, pari da soli al 51% del totale).

Ancora più interessante, poi, sono le percentuali sul tasso di disoccupazione. Tra i giovani si sale al 35,5% (peggio di noi solo Spagna e Grecia); mentre per gli over50 si resta più o meno stabili al 6,8 per cento. Una forchetta molto ampia che va avanti da tempo; un’eccezione se confrontata con i paesi nostri competitor. Cosa significa? Che i lavoratori “senior” escono ed entrano in modo abbastanza dinamico nel mercato del lavoro; molto di più dei giovani. Anche per il maggior bagaglio di competenze ed esperienze possedute. Ecco allora che per i ragazzi serve davvero una «terapia d’urto», per ripetere le parole dell’economista del Lavoro, Carlo Dell’Aringa. In primo luogo è necessario tornare a rendere conveniente l’assunzione a tempo indeterminato dei ragazzi: e qui bisogna essere coraggiosi, come del resto chiedono le imprese, e puntare su una riduzione piena e strutturale del cuneo. Misure più timide rischiano di non centrare l’obiettivo.

E poi, è fondamentale puntare sulla formazione. Occorre disegnare una nuova filiera educativa che, valorizzando alternanza e apprendistato, consenta di innalzare il bagaglio di competenze dei ragazzi, anche alla luce della rivoluzione di Industria 4.0. È tempo di buttare giù (e per sempre) quegli steccati che ancora dividono istruzione e mondo del lavoro.

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