Rapporti di lavoro

La legge chiede solo il patto individuale

di Aldo Bottini e Valeria Morosini

Come redigere l’intesa collettiva sullo smart working? Innanzitutto è bene chiedersi se sia opportuno avere un’intesa collettiva. Il requisito per attuare lo smart working è infatti l’intesa individuale con il singolo lavoratore, nella quale alcuni elementi sono richiesti per legge. La nuova normativa non richiede invece un accordo sindacale né necessariamente una policy unilaterale di fonte datoriale.

Il primo punto da sciogliere, quindi, è in quali circostanze possa essere consigliabile avere anche un accordo con il sindacato. Questa valutazione dipenderà innanzitutto dal tipo di relazioni sindacali in azienda e dalle circostanze specifiche – soprattutto in termini di relazioni industriali – di ogni singola realtà e dalle obbligazioni eventualmente già assunte.

Ci sono tuttavia alcuni benefici e alcuni svantaggi che si possono individuare in termini generali. Sottoscrivere un accordo collettivo certamente limita la facoltà del datore di lavoro di negoziare i termini dell’accordo con il singolo lavoratore. Per esempio, se si definiscono determinate libertà dei lavoratori nell’ambito dell’accordo collettivo o si stabiliscono preavvisi a carico del datore di lavoro, non sarà poi possibile definire condizioni meno favorevoli al lavoratore nell’ambito degli accordi individuali.

D’altra parte vi possono essere anche benefici nel ricorso a un’intesa collettiva, se questa definisce un quadro di riferimento nell’ambito del quale necessariamente sarà contenuta la negoziazione con il lavoratore. In questo senso la negoziazione con il singolo potrà essere semplificata dall’accordo collettivo preesistente.

Premesso tutto ciò, nel caso in cui un’intesa collettiva sia ritenuta auspicabile, è importante che questa non vanifichi i risultati, seppur parziali, raggiunti dalla nuova normativa e quindi non neutralizzi quegli obblighi-oneri a carico del lavoratore in termini di dovere di collaborazione.

Per esempio, nella misura in cui il lavoratore rende la propria attività in parte all’interno e in parte all’esterno dei locali aziendali, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro, non si applicheranno i limiti di orario normale e conseguentemente lo straordinario. È consigliabile per il datore di lavoro non introdurre previsioni collettive che siano in contrasto con questo principio.

Inoltre, data la lontananza e l’impossibilità di operare un controllo diretto, sarà responsabilità del lavoratore assicurare il non superamento dei limiti di durata massima dell’orario di lavoro (le 48 ore ogni sette giorni calcolate in media su 4 mesi o più lungo periodo definito nella contrattazione collettiva).

Oltre che in materia di orario di lavoro, la responsabilizzazione del lavoratore può essere valorizzata anche in relazione al rispetto dei tempi di riposo e di disconnessione, che dovranno essere definiti quanto meno in sede di accordo individuale.

Poiché il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore per fronteggiare i rischi legati all’esecuzione della prestazione all’esterno dell’azienda, è importante che quanto concordato in sede collettiva non possa essere interpretato nel senso di limitare questo obbligo del lavoratore.

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